Rispetto a un paradigma culturale che celebra una libera e inoffensiva estetica degli affetti, presupponendo l’idea di un’affettività “slegata” dal logos, libera cioè dalla supervisione critica della ragione, il testo s’interroga intorno alle radici antropologiche di una forma di reciprocità oblativa, eticamente vincolata dal principio di gratuità e aperta a una dimensione sovrapersonale, oltre quella interpersonale e intrapersonale, in cui l’eteronomia del bene non sia intesa come una forma di estrinsecismo etico. L’apertura a tale orizzonte etico, inteso come ciò che promuove e non mortifica l’ordine personale, non ha però il carattere di un’evidenza ingenua, ma disegna un cammino di ricerca, in cui l’io incontra gli altri e trova se stes...