L\u2019ARTE MASSIMA, Vol. I La rappresentativa nel novo stile: norme e pratica del metodo italiano di recitazione (1728-1860)

Luigi Bonazzi scrive nel suo avviso \u201cai lettori\u201dche in generale \uabl\u2019attore drammatico porta tutto se stesso nella tomba\ubb . Quanta romantica affabulazione in tale assunto! Peccato che Bonazzi non abbia detto la verit\ue0!Gli attori della rappresentativa e del novo stile non solo non portarono via con s\ue9 il segreto della loro arte ma ci hanno lasciato una documentazione pi\uf9 che cospicua, tale da consentirci di riscoprirne sia le normative sia le regole d\u2019applicazione. Sebbene in alcuni studi di qualche anno fa sulla recitazione ottocentesca si sia notato che nei copioni ci sono segni che potrebbero far parte di convenzioni codificate , non si \ue8 poi ulteriormente indagato per comprenderne il significato e la funzione. Quei segni, che sono stati anche interpretati come possibili notazioni vergate dal singolo interprete per propria personale memoria, non sono in realt\ue0 se non sigle o note appartenenti all\u2019insieme complesso di un codice fonografico universalmente adottato per contrassegnare la declamazione sui copioni. Una laboriosa analisi delle differenti fonti e il confronto tra i trattati degli attori ed i contrassegni declamatori dei loro copioni, che ho gi\ue0 in parte realizzato nei miei lavori La drammatica-metodo italiano (Mimesis 2013) e La drammatica (Mimesis 2014) , mi hanno permesso di decrittare i geroglifici costituenti quel segreto dell\u2019arte, che, per esser tale, fu un segreto palese e ben divulgato. \uc8 stato necessario per\uf2 raccogliere una documentazione voluminosa per rintracciare le norme e le regole di quella che fu definita l\u2019arte massima. Questa documentazione \ue8 in buona parte poco conosciuta o inedita, sicch\ue9, in luogo del rinvio a fonti agevolmente accessibili, qui ho dovuto ricorrere a citazioni frequenti e lunghe, affinch\ue9 il lettore abbia sotto i suoi occhi, per quanto \ue8 indispensabile il documento e non la sua esposizione. L\u2019esame comparativo e la collazione dei documenti hanno fatto emergere i caratteri dell\u2019applicazione delle norme e delle regole della rappresentativa nel novo stile. La prima volta che vidi dei simboli declamatori della drammatica-metodo italiano fu quando, nel 2007, sfogliai il libro-copione di Eleonora Duse della Mirra di Alfieri a Cambridge.Allora non sapevo che significassero quegli \u201csgorbi\u201d. Ma proprio quelli mi misero sulle tracce della drammatica.Ora so che i segni ai margini della Mirra,ancora ben visibili alle pagine 247 e 265, sono sigle declamatorie della drammatica neo-classica, che l\u2019attrice applicava con abilit\ue0 e rigore, facendo dell\u2019artificio lo strumento della sua verit\ue0 in scena.In questi ultimi dieci anni di studio, nonostante che l\u2019Ottocento italiano sia stato ampiamente studiato, e nonostante che una parte consistente della documentazione da me analizzata fosse gi\ue0 conosciuta, ho dovuto con sorpresa sempre rinnovata constatare una generale disattenzione nei confronti della pratica declamatoria, che fu la base della recitazione dei grandi attori italiani, cio\ue8 quelli che in italiano recitavano Hamlet e Macbeth a Londra e a New York e La Dame aux Cam\ue9lias a Parigi. Ma per quale ragione \ue8 stata ritenuta trascurabile la declamazione? L\u2019opinione accreditatasi ha considerato proprio i grandi attori italiani responsabili della svalutazione della declamazione e del discredito che la colp\uec. Ma i copioni degli attori ed i loro trattati ci raccontano tutt\u2019altra storia. Un secondo impulso a riaprire la ricerca sulla recitazione dell\u2019Ottocento, nonostante i verdetti degli studi esistenti, mi \ue8 venuto dalla constatazione che tutti i copioni da me visti, e sono decine e decine di esemplari, contrassegnati da attori differenti,danno l\u2019impressione di essere stati siglati da una stessa mano. Ci\uf2 mi ha portato ad una prima conclusione, da cui ha avuto inizio la decodificazione del sistema declamatorio, che i cosiddetti segni non potevano essere considerati n\ue9 arbitrari n\ue9 occasionali, e testimoniavano invece la presenza di convenzioni alle quali si doveva la evidente uniformit\ue0 grafica. Ci sono diverse tipologie di copioni: i copioni \u201cmutilati\u201d per ricavare\u201cil copione per la compagnia\u201d, i copioni che presentano sigle che sembrano tagli ma che invece sono i contrassegni delle assimilazioni dei gradi (grappa assimilativa) edelle gabbie tonali, i copioni \u201cper suggerire\u201d, che contengono la partitura vocale dell\u2019intera messinscena, e cos\uec via. I reperti sonori di Salvini e di suo figlio Gustavo, ritrovati da Antonio Attisani, dovrebbero essere ora ascoltati seguendo i contrassegni nei copioni di riferimento. Ci\uf2 facendo si potrebbero individuare la modalit\ue0 dei trapassi e dell\u2019esecuzione combinata di due azioni vocali, ed il trapasso (cambio di tono e grado di voce) con l\u2019enfasi tonica, che Salvini usava, per fissare la battuta dominante della scena, dell\u2019atto e dell\u2019intera interpretazione del testo. Si potr\ue0 comprendere cos\uec che il famoso ruggito veniva eseguito dall\u2019attore assimilando due differenti toni e gradi di voce. Nessuno me ne voglia, se il ritrovamento e la decodificazione della declamazione contrassegnata del novo stile confutano sia la tesi che Salvini sia naufragato in una \uabfamigerata deriva emozionalista\ubb ,sia l\u2019antitesi, che ravviserebbe nella recitazione di Salvini \uabnon un annullamento del s\ue9 del personaggio bens\uec di un processo di conoscenza (del s\ue9) tramite l\u2019azione\ubb. Il fatto \ue8 che il processo di conoscenza del s\ue9 rispecchia l\u2019applicazione della quinta norma di Luigi Riccoboni, il subcontrario, che il suo maestro Modena padroneggiava con maestria. Non pare, infine, alla luce della documentazione qui da me esaminata, che sin possa parlare di \uabdistanza tra Salvini e il suo maestro \ubb. Modena rinnov\uf2 la rappresentativa concatenando le norme della declamazione contraffacente e quelle della declamazione per la tragedia o rappresentativa, dando cos\uec vita a quello che fu detto novo stile. \uc8 vero che esiste una distanza tra i due interpreti ma \ue8 la distanza che la storia mette tra i due, ed \ue8 la stessa distanza che c\u2019\ue8 tra l\u2019Amleto di Salvini recitato nella Compagnia Reale dei Fiorentini a Napoli nel 1860, e l\u2019Otello di Salvini recitato nella Compagnia Drammatica di Alfredo De Sanctis al Reale Teatro Niccolini di Firenze il 6 febbraio 1901. Si tratta del divario provocato da uno scenario socio-politico mutato, di cui l\u2019arte, in questo caso la recitazione di Modena e Salvini, si fa interprete, ma l\u2019arte dell\u2019interprete non \ue8 mutata, come si pu\uf2 vedere nella declamazione contrassegnata dei copioni. La difficile arte della produzione della verit\ue0 in scena riaffiora dallo studio delle sigle declamatorie usate dagli attori per contrassegnare i loro copioni. Le modulazioni dei trapassi di voce e la concatenazione dei gradi e dei toni, che Tommaso Salvini ha segnato nel copione di Amleto, ci segnalano che quella fu una interpretazione sapientemente bilanciata tra arte e politica. Salvini ottiene l\u2019autorizzazione di mettere in scena Amleto il 14 luglio 1860. Garibaldi era sbarcato a Marsala in maggio, e i suoi Mille combattevano in Sicilia per raggiungere la penisola, dove sarebbe sbarcato il primo agosto sulle coste calabre. Napoli era l\u2019ultima ridotta del vecchio ordine politico a resistere, prima dell\u2019agognata unificazione del Paese. E l\uec, in quel caldo luglio, sul palcoscenico del teatro dei Fiorentini, Salvini presenta un Amleto mutilato, privo soprattutto delle scene pi\uf9 introspettive e sentimentali dell\u2019 Hamlet shakespeariano. Egli potenzia le scene che evocano convergenze con le tensioni politiche e sociali italiane, e mette in evidenza in ogni battuta di Amleto l\u2019inevitabile ed imminente passaggio ad un ordine nuovo. Salvini coinvolge cos\uec il mitico principe di Danimarca negli afflati patriottici, che si respiravano in quei giorni nelle vie e nei vicoli della citt\ue0 partenopea. Nella scena finale Fortebraccio e il morente Amleto appaiono protagonisti di una profezia che si sarebbe avverata da l\uec a poco, la nascita della Nazione Italiana. L\u2019Amleto, che ci restituiscono le concatenazioni dei gradi e delle voci della declamazione contrassegnata, \ue8 un eroe tragico che vince sul vecchio ordine, pur morendo. Non sono le scomposizioni e le ricomposizioni delle scene, o il depotenziamento di alcune scene o il rafforzamento di altre a indicare gli effetti del ribaltamento dell\u2019interpretazione del personaggio, ma la complessa tessitura delle modulazioni e dei trapassi di voce che individuiamo nella declamazione contrassegnata nel copione, che la censura non avrebbe potuto decriptare