Dark Tales Fiabe di paura e racconti del terrore

Sigmund Freud, nel saggio L\u2019interesse estetico della psicoanalisi, approfondisce le ragioni di particolari condizioni della realt\ue0 oggettiva e artistica che determinano l\u2019insorgere di un\u2019altrettanto particolare reazione psicologica: tali condizioni sono designate col termine \u201cperturbante\u201d, unheim-lich in tedesco, che viene definito \uabquella sorta di spaventoso che risale a quanto ci \ue8 noto da lungo tempo, a ci\uf2 che ci \ue8 familiare\ubb . Un termine che racchiude in s\ue9 una radicale ambivalenza, essendo un composto di heimlich, nella sua duplice accezione di \u2018non straniero, familiare, domestico, fidato, intimo\u2019 e di \u2018nascosto, tenuto celato in modo da non farlo sapere ad altri o da non far sapere la ra-gione per cui lo si intende celare\u2019. Lo stesso Freud osserva come tra le molteplici sfumature del suo significato ne possieda anche una che, di fatto, coincide con il suo contrario: unheimlich, appunto. Dunque, il perturbante ha profonde fondamenta nel nostro \u201cfamiliare\u201d, si asside in esso, con esso si fonde e si confonde, vi si nasconde per poi sconvolgerlo radicalmente, scompaginandone quegli as-setti rassicuranti che fondano il nostro episteme. Perturbante \ue8 pertanto ci\uf2 che assomiglia alla \u2018norma\u2019 e d\u2019un tratto, in apparenza inspiegabil-mente, palesa risvolti ignoti, oscuri, enigmatici, capaci di destare le nostre paure pi\uf9 riposte: un ri-baltamento repentino e inatteso di quelle che ritenevamo essere le nostre certezze il quale inevita-bilmente ingenera in noi uno stato di spiazzamento di smarrimento, di vertigine. E tutto ci\uf2 a pre-scindere dal fatto che l\u2019ordinata serie di eventi d\u2019improvviso turbati dall\u2019irruzione di elementi a prima vista addebitabili a una dimensione \u2018altra\u2019, preternaturale, una volta passata al vaglio del pen-siero razionale perda ogni caratteristica di eccezionalit\ue0, e di buon grado consenta di essere ricon-dotta \u2013 pi\uf9 o meno pianamente \u2013 entro i ranghi dell\u2019ordinario, del consueto. \uc8 precisamente in questo duplice \u2018scarto\u2019 \u2013 dall\u2019usuale al portentoso, e ritorno \u2013 che risiede il dispositivo atto a rendere un intreccio, per quanto minimale, memorabile, ovvero suscettibile di es-sere trasmesso di bocca in bocca, di pagina in pagina, fino a perdere ogni reminiscenza delle sue scaturigini prime, dei suoi ascendenti letterari, del suo contesto di gestazione, o di sviluppo. Al pun-to da far vagheggiare origini poligenetiche, laddove \ue8 piuttosto nell\u2019inesausto lavorio di adattamenti e rifunzionalizzazioni, di appropriazioni e rielaborazioni \u2013 proprie soprattutto dell\u2019oralit\ue0 \u2013 che pu\uf2 essere fruttuosamente cercato, e talvolta financo individuato, il fil rouge lungo cui si dipana la prati-ca quasi magica della narrazione: quella che ha perpetuato i pi\uf9 struggenti \u2018miti\u2019 arcaici, o le fiabe pi\uf9 note, come quella che concorre tuttora a diffondere sinistre leggende metropolitane. Ad acco-munare gli uni e le altre, paradossalmente, \ue8 chiamato un \u2013 per quanto impropriamente inteso \u2013 \u2018principio di realt\ue0\u2019: i fatti descritti sono \u2018veri\u2019 in quanto realmente accaduti, o pretesi tali, comun-que \u2018certificati\u2019 da persone fededegne, sia in quanto autorevoli sia perch\ue9 personalmente conosciute dal narratore che \u2013 si badi bene \u2013 quasi mai si propone come diretto testimone dell\u2019episodio che racconta, avocando a s\ue9 il ruolo di semplice intermediario. Il che vale per gli estensori degli exem-pla redatti nei monasteri dell\u2019Occidente medievale esattamente come per quanti, con maggiore o minore convinzione, oggi ci intrattengono con mirabilia che avrebbero coinvolto nostri contempo-ranei. Far\uf2 un paio di esempi. Il primo mi riconduce agli anni della mia adolescenza, alle vacanze estive passate in una pensioncina della Valtournenche: un ragazzino solo un poco pi\uf9 grandicello di noi una sera ci aveva riferito di un caso terribile occorso, a suo dire, molti anni prima a un\u2019amica della nonna, in uno sperduto paesino siciliano di cui la sua famiglia, immigrata a Torino, era origi-naria. Tutto sarebbe nato per gioco, o per sfida \u2013 \u2018vanto\u2019, o gabbo, lo chiamavano nel medioevo: la giovnetta nel corso di una veglia avrebbe sostenuto di non aver paura alcuna dei morti, e di essere pronta a provarlo recandosi, a quell\u2019ora, e nella completa oscurit\ue0, nel camposanto, presso una tom-ba il cui \u2018ospite\u2019 si riteneva non essere ancora del tutto pacificato. A riprova della sua impresa a-vrebbe piantato un picchetto vicino alla lapide in questione, in modo che l\u2019indomani le incredule compagne sarebbero potute andare a verificare. Com\u2019\ue8 ovvio la fanciulla non fece pi\uf9 ritorno da quella temeraria spedizione: venne ritrovata morta il giorno dopo vicino alla sepoltura in questione con il paletto ancora conficcato nell\u2019orlo della lunga veste, che risultava cos\uec saldamente fissata al suolo. Naturalmente il povero defunto non c\u2019entrava nulla: china nel buio, non si era accorta di aver preso col puntello anche il bordo della gonna e alzatasi per allontanarsi si era sentita trattenere, im-maginando che a ghermirla fosse la mano del morto, indispettito per il suo ardire. Ad ogni modo il cuore non le aveva retto, e quella inutile millanteria aveva posto fine alla sua giovane vita. Come \ue8 facile immaginare il racconto ci aveva molto impressionato. E tutti lo avevamo rite-nuto assolutamente veridico. Probabilmente, nell\u2019imminenza, avevo contribuito anch\u2019io a diffonder-lo a mia volta. Poi me n\u2019ero dimenticata. Circostanza singolare, a distanza di molto tempo \u2013 gi\ue0 fre-quentavo l\u2019universit\ue0 \u2013 quello stesso racconto mi era stato nuovamente riferito da un\u2019amica. L\u2019impianto di fondo era, nell\u2019essenza, lo stesso: cambiavano solo dettagli marginali, come l\u2019ambientazione (la Sardegna anzich\ue9 la Sicilia), il grado di parentela della testimone (una qualche prozia invece della nonna), il particolare che a essere infilzato dal paletto era un pesante scialle di lana e non la sottana. Per il resto tutto restava immutato. All\u2019epoca in cui mi venne esposta quest\u2019avventura i cui protagonisti e le cui atmosfere emergevano dai primi anni del Novecento gli studi sulle leggende metropolitane di Jan Harold Brunvand erano gi\ue0 ampiamente noti, e ormai a-vevo gli strumenti per apprezzarne i numerosi atouts: in primo luogo la connotazione notturna, poi la location cimiteriale, in ultimo il persistente retaggio di credenze connesse a trapassati inappagati, e potenzialmente molesti. L\u2019inevitabile \u2018morale\u2019 potrebbe suonare come una variante \u2018adiafora\u2019 del noto adagio \uabscherza con i fanti e lascia stare i santi\ubb... Ma l\u2019aspetto di gran lunga pi\uf9 interessante, in grado di spiegare la longevit\ue0 e la \u2018fortuna\u2019 di questa storiella come di altre consimili, e merite-vole di una seppur minima riflessione, \ue8 rappresentato dalla sostanziale credibilit\ue0 dei casi inanellati a costruirne la trama. Una credibilit\ue0, s\u2019intende, pretestuosa, fittizia, necessaria sufficiente a eludere il controllo dei principi basilari della logica aristotelica, intesa a sviare, a depistare le procedure dela ratio comune inducendoci ad appuntare l\u2019attenzione su fattori secondari e perdere cos\uec di vista il quadro d\u2019insieme, tacitare l\u2019intima consapevolezza che sia in fondo altamente improbabile, se non impossibile, che basti un forte spavento a stroncare di schianto una giovinetta sana, e sicura di s\ue9. Una credibilit\ue0 che a ogni buon conto non dissipa completamente un dubbio: e se fosse essa stessa docile strumento di forze occulte desiderose di mantenersi nell\u2019ombra? Se le spiegazioni razionali non fossero altro che maldestri tentativi per inglobare nel campo della nostra comprensione quanto in realt\ue0 vi sfugge? Se veramente fosse stata la mano del cadavere a piantare quel picchetto? Grossomodo gli stessi dubbi, e lo stesso brivido sottile, suscita un aneddoto \u2018monastico\u2019 che affonda le proprie radici nei secoli \u2018bui\u2019 dell\u2019Et\ue0 di Mezzo. Anche in questo caso l\u2019azione si svolge di notte in uno scenario fatalmente \u2018gotico\u2019, e d\u2019eccezione: lo splendido Scalone dei Morti della Sa-cra di san Michele, alle porte della Val di Susa, Scalone che deve il suo nome alla presenza di una nicchia in cui fino ai primi del Novecento erano conservati alcuni scheletri di monaci passati a mi-glior vita, ma ancor di pi\uf9 all\u2019essere stata da tempo immemorabile luogo privilegiato per sepolture illustri. Pare che, in tempi remoti, i teschi dei confratelli fossero conservati sui gradini medesimi e un fraticello, di ritorno dal mattutino ne avesse visto uno attraversagli la strada: si sarebbe allora precipitato dall\u2019abate, paventando un\u2019intromissione da parte del Maligno. Ma l\u2019abate, giunto sul po-sto, intu\uec subito di quale inganno \u2013 per nulla demoniaco \u2013 era stato vittima il novizio credulone: al-z\uf2 il cranio e verific\uf2 che la \u2018forza motrice\u2019 grazie a cui esso si spostava non era altro che un sem-plice topolino, presto a dileguarsi non appena scoperto. Un epilogo quasi \u2018illuminista\u2019, per datare at-torno all\u2019anno Mille... Per\uf2, di nuovo, il sospetto dell\u2019ingerenza di potenze ostili pronte a tutto, an-che ad assumere l\u2019aspetto di un sorcio, permane. Del resto, il diavolo non \ue8 forse maestro di ogni inganno, capace di ogni trasformismo, illusor e delusor per eccellenza? In definitiva, \ue8 in questa rottura della consequenzialit\ue0 dei rapporti causa-effetto, e nella sua successiva ricomposizione che risiede l\u2019attrattiva, il successo, di simili narrazioni. Anzi, nell\u2019incrinatura che, sebbene rinsaldata, continua a ricordarci con le sue crepe il sottile discrimine sussistente fra il certo e l\u2019ignoto, fra l\u2019aldiqua e l\u2019aldil\ue0. \uc8 in tale prospettiva che il perturbante pu\uf2 essere assunto quale virtuale chiave di volta di questa raccolta di saggi, diversi per impostazione come per ambito disciplinare, per contestualizza-zione storica come per approccio d\u2019analisi: tutti, infatti, hanno in comune il voler cogliere, penetrare a fondo, decrittare quei peculiari snodi diegetici che fanno di una vicenda, di una storia, un racconto dark. E di investigare cosa sta al fondo delle mille, impercettibili fenditure che solcano le nostre certezze, che fessurano la nostra quotidianit\ue0