Gli orizzonti culturale, relazionale e valoriale come fonti di influenza nella definizione delle forme del sentire religioso

La società in cui viviamo ha progressivamente dettato i tempi della rielaborazione e ridefinizione dei sistemi del sapere, del sentire e dell’esperire nelle sfere più diverse della vita umana. Dalle questioni pubbliche a quelle più intime, ogni ambito è pervaso da inedite spinte dovute alle note dinamiche di globalizzazione, digitalizzazione, smaterializzazione e riduzione di barriere che un tempo si pensavano come invalicabili. È così che strane ibridazioni e insolite commistioni prendono forma, e alla guida dei processi di conferimento di senso si pongono i modi di razionalizzazione che permettono di incastonare frammenti talvolta slegati di realtà. Questo in quanto la mentalità moderna riduce la ragione a un insieme di categorie in cui la realtà è forzata ad entrare: ciò che non vi rientra è classificato come irrazionale. E cosa, più del sentire religioso, può configurarsi con quest’aura di irrazionalità? La ragione, invece, viene percepita come un occhio spalancato sulla realtà, ne registra nessi, relazioni, implicazioni, e incastra le elaborazioni tra ciò che tiene in memoria, ciò che immagazzina e ciò a cui conferisce e riconferisce significati tra spazio della conoscenza e spazio dell’esperienza. Secondo Giussani (2011), l’uomo tende ad affrontare la realtà con la ragione. Pertanto, avere un orizzonte culturale tendenzialmente più aperto, grazie anche agli stimoli provenienti da un livello di istruzione maggiore e la provenienza da contesti territoriali estesi, urbani e globalizzati aiuta a fare leva su una dimensione di ragionevolezza utile a fornire spiegazioni del sentire religioso molto diverse rispetto a quelle che possono legarsi ad orizzonti culturali più chiusi, poiché meno soggetti agli stimoli provenienti da istruzione e diversità contestuale. Questa dinamica richiama, di converso, anche l’orizzonte relazionale e la capacità di proiettarsi in reti più o meno ampie nelle quali identificarsi o dalle quali rifuggire, complici della costruzione di un intorno rispetto al sé che possa essere allargato o diversamente circoscritto. Questo perché, come sostenuto da Marchisio (2010), l’epoca moderna è stata pervasa da una irresistibile dinamica di individualizzazione per cui la società, più che essere concepita come un insieme indistinto, diventa luogo di individui, considerazione che porta con sé non poche conseguenze sul piano del sentire e dell’agire religioso. Pratiche e credenze religiose finiscono per essere sempre più personalizzate e costruite come un collage che passa trasversalmente tra culture, sistemi e tendenze, tuttavia non senza creare nel tempo un’alternanza di affinità e similitudini, scostamenti e discontinuità. La sperimentazione del religioso diventa un affare soggettivo perché progressivamente si svincola dalle matrici che lo inglobano, slegandosi da ancoraggi e da orizzonti valoriali e sfociando nell’estremo di quelle che possono essere definite “identità senza dimora” (ibidem). Incertezza, indebolimento dei legami sociali, focalizzazione sull’io e sul presente vengono a combinarsi con i vissuti religiosi che si configurano come ricerca di nuove vie di salvezza, nuove risposte ad ataviche domande, nuovi modi di trovare pace nella frenesia di uno spazio di esistenza in continuo movimento. Nascono, così, forme del sentire religiose che vanno dalla rinnegazione e fuga di quanto tradizionalmente e culturalmente costruito a tentativi di reinvenzione e rifondazione dell’esperienza mistica e del divino. Questo non vuol dire che ancoraggi e valori tradizionali svaniscano, anzi, essi resistono e persistono a quello che Garelli, Guizzardi e Pace (2003) hanno definito doppio pluralismo delle e nelle religioni. Gli autori sottolineano l’inarrestabile processo di secolarizzazione della vita privata, che si è concretizzato nel declino della pratica religiosa e il rispetto dei precetti provenienti dalle istituzioni ecclesiastiche sulle diverse sfere del vivere quotidiano, lavoro, famiglia, educazione, tempo libero, per citarne alcune. Tra fedeli e non fedeli, il senso dell’agire non è più determinato prevalentemente dalla religione di appartenenza o di nascita, ma si costruisce nella vita quotidiana, nelle esperienze vissute, nelle conoscenze da cui si è raggiunti e nelle azioni messe in pratica nelle diverse biografie individuali. Al maggiore peso conferito alla dimensione individuale nella scelta di pratiche e saperi si associa un maggiore peso della dimensione individuale anche nelle scelte sul credere, sui suoi contenuti, sulle sue modalità e sulle sue forme espressive, moltiplicando a dismisura o riducendo pressoché al nichilismo totale le forme di appartenenza. In un mondo così cambiato e pervaso da dinamiche come quelle descritte, ragionare nei termini di singole influenze sull’agire e sul sentire religioso diventa pressappoco un esercizio deprivato della reale potenzialità di un’analisi più in profondità dei sistemi di interconnessione tra le influenze determinate dagli orizzonti culturali, relazionali e valoriali descritti. È per questi motivi che nei paragrafi che seguono sarà messo alla prova un processo analitico che si pone come obiettivo l’analisi in profondità tipica dell’approccio più squisitamente qualitativo pur usando strumenti puramente appartenenti al versante dell’analisi quantitativa. Il complesso lavoro analitico che si presenta ha come fine ultimo quello di restituire risultati integrati che non si configurino come semplice somma o giustapposizione delle conclusioni cui si giunge. Anzi, il processo sequenziale delle analisi presentate viene articolato nel preciso intento di migliorare ampiezza, profondità e complessità della conoscenza prodotta (Amaturo, Punziano, 2016, p. 22) capace di delineare le reali direzioni e contenuti che sostanziano le forme di sentire e di agire religioso a partire da un affondo sull’analisi delle interviste protagoniste di questo studio