In tema di contenzione al letto del paziente malato di mente in trattamento sanitario volontario o in trattamento sanitario obbligatorio

La questione della contenzione al letto del paziente malato di mente necessita di un chiarimento definitorio. L\u2019atto della contenzione, che si traduce nella immobilizzazione a letto del paziente attraverso l\u2019utilizzo di cinghie in tessuto, \ue8 un atto coercitivo che si inserisce all\u2019interno del trattamento sanitario psichiatrico. Diamo quindi per superata e risolta la problematica del se possano o meno atti di coercizione essere, sotto un profilo giuridico, considerati atti medici ed, in quanto tali, trattamenti sanitari. Gi\ue0 qui una prima difficolt\ue0: far convivere nella stessa espressione due concetti cos\uec distanti fra loro. Da un lato l\u2019atto coercitivo, che infatti rimanda ad una situazione nella quale si fa uso della forza fisica, dall\u2019altro la diversa situazione del trattamento sanitario che all\u2019opposto richiede il consenso informato dell\u2019avente diritto. Tuttavia il termine \u201cpsichiatrico\u201d, accostato al \u201ctrattamento sanitario\u201d aggiunge, in via di fatto, un elemento di differenziazione che per alcuni modifica fortemente il senso della frase. In questo caso (\ue8 un\u2019idea diffusa) la questione del richiesto consenso informato assume connotati specifici. Indubbiamente va detto che il consenso nel rapporto fra lo psichiatra ed il paziente acquista una valenza del tutto particolare. Come particolare \ue8 la relazione fra il paziente e lo psichiatra. L\u2019espressione, \u201cavere in cura\u201d un paziente, in ambito psichiatrico, acquista una valenza pi\uf9 penetrante che altrove; e ci\uf2 soprattutto per il personale coinvolgimento, anche emotivo, del curante stesso. Il punto di partenza sta, pare, nell\u2019osservazione che nel rapporto con il malato di mente il consenso di solito non costituisce la premessa ma il punto di arrivo del trattamento