Il gruppo di lavoro tra idealit\ue0 e necessit\ue0

Gi\ue0 da anni vi \ue8 un nuovo modo di intendere il lavoro; si \ue8 fatto strada tra i teorici dell\u2019organizzazione del lavoro il concetto di \ue8quipe multidisciplinare e multiprofessionale, per cui si \ue8 portati a pensare che diverse culture professionali, formazioni scientifiche ed esperienze maturate nei vari ambiti di competenza, che compongono appunto un\u2019\ue8quipe tipo, possano dare una risposta ad un determinato problema o individuare la miglior soluzione per risolvere una ipotetica criticit\ue0, meglio di un singolo professionista. Ebbene anche in ambito sanitario questo modo di concepire lo svolgimento del lavoro ha fatto fortuna e si sta affermando sempre di pi\uf9; anzi in determinate branche della terapia e dell\u2019assistenza a particolari tipologie di pazienti, quali \u201cgli oncologici\u201d, \u201cgli psichiatrici\u201d, \u201ci geriatrici\u201d ed altri, lavorare in \ue8quipe \ue8 diventato indispensabile per tutta una serie di ragioni, e foriero di maggiori successi terapeutici. Per quanto riguarda la psichiatria durante il corso del \u2018900 abbiamo assistito al passaggio da un modello di intervento custodialistico e contenitivo ad un modello socioriabilitativo di cura, in cui il paziente non deve pi\uf9 essere allontanato ed isolato dal proprio ambiente naturale, nascosto alla collettivit\ue0 dei cosiddetti normali, ed eventualmente recluso in contesti ospedalieri o similari, ma restituito piuttosto alla societ\ue0 civile e al territorio il pi\uf9 presto possibile. Le istituzioni manicomiali appartengono ormai al passato, anche se sono forti le tentazioni negli ultimi tempi di farle rivivere in chiave \u201cmoderna\u201d. In un orientamento di rete comunitaria l\u2019assistenza psichiatrica, tende quindi a mantenere il paziente nel proprio ambiente naturale mediante un intervento residenziale; il soggetto ha cos\uec la possibilit\ue0 di essere accolto in una struttura aperta, non custodiale, collegata al territorio e capace di offrire un senso di sicurezza, stimolazione al cambiamento e alla crescita, fino a determinare in questo modo l\u2019avvio di un percorso di ricostruzione personale che poi dovrebbe costituire il vero obiettivo di ogni intervento in situazioni di disagio psichico. Le comunit\ue0 terapeutiche e socioriabilitative sono l\u2019antitesi della istituzionalizzazione e tra gli obiettivi che la moderna psichiatria persegue con convinzione attualmente vi \ue8 la promozione continua dei trattamenti terapeutici di comunit\ue0 e di rete. Si tratta ancora di una scommessa tutt\u2019altro che vinta in partenza perch\ue9, come gi\ue0 detto, forme di revisionismo storico e scientifico minacciano il raggiungimento di questo obiettivo, che psichiatri sociali come Basaglia hanno perseguito per tutta una vita. Secondo il punto di vista della psichiatria di comunit\ue0, ogni persona con difficolt\ue0 psicologiche, sociorelazionali e di sofferenza psichiatrica ha la necessit\ue0 di rapportarsi ad un piccolo gruppo di persone/operatori, che comunicano fra di loro e che svolgono funzioni cura e sostegno, con attivit\ue0 esercitate in modo differenziato e al tempo stesso integrato. Il gruppo di lavoro di cui parliamo \ue8 l\u2019\ue8quipe intesa come una modalit\ue0 complessa e interdisciplinare in grado di fornire assistenza e varie forme di aiuto alle persone in difficolt\ue0 a cui il paziente si rivolge a seconda delle competenze e dei ruoli differenziati ricoperti in seno alla stessa dai vari membri che la compongono. Ogni \ue8quipe di lavoro si definisce in base alle caratteristiche presentate dai suoi componenti e dagli obiettivi che essa si propone di raggiungere, in ogni caso \ue8 consigliabile, che la dimensione della stessa debba essere limitata, per consentire una circolazione ottimale della comunicazione, e il realizzarsi di rapporti equilibrati tra i vari membri. Viceversa se vi \ue8 un solo membro che assume una posizione predominante, ostacola la comunicazione circolare e determina una gerarchia, con tutte le conseguenze negative immaginabili. Qualsiasi \ue8quipe che vuole raggiungere degli obiettivi terapeutici deve essere organizzata e coordinata. L\u2019intervento sul disagio psichico si pu\uf2 attuare in quattro fasi, come previsto dal processo di assistenza infermieristica:1) analisi dei problemi e dei bisogni, ovvero ascoltando la richiesta di aiuto, raccogliendo i dati necessari;2) pianificazione, definendo la soluzione pi\uf9 appropriata, pi\uf9 realistica, meglio raggiungibile e determinando i criteri per valutarne l\u2019efficacia;3) operativit\ue0, consta della realizzazione della soluzione scelta;4) valutazione dei risultati, sotto il profilo dell\u2019efficienza, tesa a verificare se il programma terapeutico sia stato realizzato con il minimo costo possibile e sotto il profilo dell\u2019efficacia consistente nel verificare se sono stati raggiunti gli obiettivi comportamentali e della riabilitazione psicosociale;LE CARATTERISTICHE DELL\u2019EQUIPE E IL LAVORO INTEGRATO Affinch\ue9 un\u2019\ue8quipe venga riconosciuta come tale e soprattutto sia terapeutica, occorre che abbia determinate caratteristiche:- competenza nel fornire aiuto;- capacit\ue0 di ascolto, di accoglienza e di riconoscimento dei bisogni dell\u2019utente;- capacit\ue0 di stabilire dei rapporti empatici;- armonizzazione delle azioni tra i membri dell\u2019\ue8quipe;- non intrusivit\ue0;- stabilit\ue0 tra i suoi membri (ridurre al minimo il continuo ricambio degli operatori);- coerenza delle risposte fornite dai vari membri all\u2019utente. Le suddette caratteristiche sono proprie dell\u2019\ue8quipe nel suo insieme, ma sono rese possibili dai differenti ruoli e dalle diverse competenze esercitate dai membri della stessa .L\u2019\ue8quipe \ue8 dunque il luogo dove il paziente, attraverso interventi professionali integrati, ha la possibilit\ue0 di ricevere il necessario sostegno emotivo per sviluppare le proprie capacit\ue0 di autorganizzazione e nuove strategie per la gestione del disagio personale. R. Blyther paragonava l\u2019\ue8quipe multidisciplinare ad \u201cun\u2019orchestra costituita da sensibilit\ue0 professionali, aventi specifiche funzioni e competenze, che attraverso l\u2019armonizzarsi delle differenti capacit\ue0 raggiunge la melodia dell\u2019aiuto\u201d. Solamente l\u2019\ue8quipe pu\uf2 garantirci per definizione una presa in carico globale, questo perch\ue9 le diverse professionalit\ue0 della stessa permettono di inquadrare \u201cil problema\u201d da differenti prospettive e tutte concorrono alla risoluzione dello stesso. Ovviamente le composizioni delle \ue8quipe variano a seconda del servizio in cui operano e della tipologia predominante dei pazienti assistiti. Mentre in un Dipartimento di Salute Mentale troveremo lo psichiatra, lo psicologo, l\u2019infermiere e l\u2019assistente sociale, in un contesto socioassistenziale ci saranno oltre allo psicologo e all\u2019assistente sociale anche un tecnico della riabilitazione psicosociale e psichiatrica e un animatore. Ma in questa lista di operatori coinvolgibili trovano spazio e giustificazione anche l\u2019impiego di figure professionali e non, quali: il sociologo, il pedagogista, il mediatore culturale, il logopedista, l\u2019O.S.S.(Operatore Socio-sanitaro), cosi come i volontari ospedalieri, il personale del Servizio Civile, gli studenti di medicina, di infermieristica, di psicologia, gli specializzanti in psichiatria, in psicologia, in infermieristica psichiatrica. A tutt\u2019oggi sono state individuate cinque tipologie di Comunit\ue0 Terapeutiche in Italia:- Sanitaria (prevalentemente composta da psichiatri e infermieri): 40%;- Psicoeducativa (solitamente caratterizzata dalla presenza di tecnici della riabilitazione: 20%;- Psicologica ( significativa presenza di psicologi): 10%;- Multiprofessionale ( dove vi \ue8 un\u2019equa distribuzione di tutte le figure): 25%;- Generica ( dove vi \ue8 in maggioranza la presenza di figure non professionali: 5%. Certamente gli equilibri interni di una \ue8quipe si possono incrinare per un qualsiasi motivo, cos\uec come possono affiorare le gerarchie, i legami e le alleanze che vanno al di l\ue0 della professionalit\ue0 dei singoli, ed \ue8 in questo momento di criticit\ue0 che la discussione franca, diretta e priva di filtri, se non quello del rispetto che deve esserci alla base di ogni rapporto professionale ed umano, possono contribuire a trovare un punto di vista unitario, frutto di una mediazione, per poter cos\uec mettere in campo un\u2019azione specifica ed integrata che sia il risultato di una comune progettualit\ue0, sintesi delle varie specificit\ue0 professionali. E\u2019 evidente che l\u2019integrazione di diverse professionalit\ue0 pu\uf2 essere difficile, faticosa e sfibrante, ma ci si pu\uf2 render conto del vantaggio di non farsi carico da soli di casi clinici particolarmente impegnativi, complessi e articolati, e che sia invece auspicabile che l\u2019\ue8quipe nel suo insieme condivida la responsabilit\ue0 professionale, per una cura di miglior successo. Va da s\ue9 che abbandonare le \u201crigidit\ue0\u201d cos\uec come le \u201csicurezze\u201d derivanti dalle varie specificit\ue0 professionali e scientifiche costa fatica, ma convertirsi ad una maggiore flessibilit\ue0 diventa necessario ed indispensabile se si vuole operare in un lavoro comune, sfruttando le potenzialit\ue0 terapeutiche del gruppo. Inoltre sembra importante nel rispetto delle reciproche professionalit\ue0 che sia evitata il pi\uf9 possibile la gerarchizzazione professionale, favorendo invece la logica del gruppo integrato dove l\u2019obiettivo terapeutico \ue8 raggiunto attraverso l\u2019utilizzo delle funzioni proprie di ogni professione in termini di strategie e progettualit\ue0. Nel momento in cui la compattezza del gruppo terapeutico viene meno il paziente persona quasi dotata di un sesto senso, fiutando i contrasti all\u2019interno dell\u2019\ue8quipe e il cattivo clima che si \ue8 venuto a formare, pu\uf2 trarne un \u201cvantaggio\u201d(non utile alla cura) modificando repentinamente il rapporto avuto con il gruppo fino a quel momento. Per dei pazienti gravi, con interiorit\ue0 frammentate e scisse, \ue8 molto importante potersi confrontare con vari operatori dalle diverse professionalit\ue0, perch\ue9 questi pazienti si relazionano in modo diverso con ogni membro dell\u2019\ue8quipe. Pertanto nella discussione del gruppo terapeutico ogni aspetto colto nella relazione con il paziente fornir\ue0 un quadro pi\uf9 completo del funzionamento psichico del paziente e delle sue necessit\ue0, cos\uec da poter predisporre progetti terapeutici pi\uf9 mirati. Peraltro \ue8 facilmente intuibile come interventi non completamente armonici non favoriscono il paziente a ricomporre la propria realt\ue0 frammentata e scissa. Vi \ue8 inoltre da aggiungere che le possibili ansie e preoccupazioni di un operatore che non riescono ad essere contenute da un gruppo di lavoro diviso tra mille conflitti, rischiano di riverberarsi negativamente sul paziente, inficiando cos\uec in questo modo il risultato terapeutico. L\u2019\ue8quipe non pu\uf2 essere il risultato della semplice somma di persone o di professionisti che si ritrovano ad operare assieme senza conoscersi, senza rispettarsi reciprocamente, umanamente e professionalmente. Sarebbe auspicabile che ogni nuovo operatore che entra nel gruppo di lavoro riceva un accoglimento di integrazione, che valorizzi lo scambio paritario di conoscenze cliniche e metodologiche, oltre ad una mutua formazione. Al contrario i risultati attesi da un\u2019\ue8quipe che non condivida i valori suddetti rischierebbe di raggiungere risultati di basso profilo sia sotto il punto di vista dell\u2019efficacia della cura, sia dell\u2019efficienza della gestione del servizio. Certamente un\u2019\ue8quipe ideale non sempre la si trova nell\u2019ambito dei Dipartimenti di Salute Mentale, ma ci\uf2 non pu\uf2 esimerci dallo sforzo di costituirla, in quanto essa rappresenta una garanzia sia per gli operatori che ne faranno parte, sia per gli pazienti, essendo uno strumento di lavoro verso livelli di assistenza e cura qualitativamente pi\uf9 elevati. Lavorare in psichiatria richiede, dopo la fase di deistituzionalizzazione e la costituzione di servizi di comunit\ue0, un maggiore investimento di lavoro nella relazione con il paziente. Tale orientamento ha progressivamente esposto gli operatori sanitari ad un rapporto pi\uf9 stretto con i malati e a un coinvolgimento pi\uf9 intenso con gli aspetti emozionali della sofferenza mentale, ma anche di conseguenza a un rischio pi\uf9 elevato di quella particolare forma di stress lavorativo definita burn-out. Il burn-out, termine di derivazione anglosassone, descrive uno stato di malessere a cui \ue8 particolarmente esposto ogni professionista che lavora nel campo delle cosiddette \u201cprofessioni d\u2019aiuto\u201d, come quelle sanitarie. Stabilire l\u2019eziopatogenesi di questa forma di malessere pu\uf2 risultare arduo, esso appare comunque un fenomeno complesso con cause diverse che lo determinano. Il suddetto fenomeno si manifesta con sintomi psicofisici di varia natura e diventa evidente e \u201cconclamato\u201d solo nell\u2019ultima parte di un processo reattivo di adattamento a condizioni di lavoro divenute cronicamente logoranti e non suscettibili di cambiamento. Il personale di determinate branche della medicina \ue8 pi\uf9 esposto al rischio di stress lavorativo. Ad esempio \ue8 stato accertato che per chi non ha buoni rapporti con i colleghi di lavoro o si trova in un ambiente ostile dove la gerarchizzazione dei rapporti professionali \ue8 particolarmente marcata, il rischio aumenta in modo esponenziale, cos\uec come i conflitti di potere, di competenze professionali o la pressione derivante dall\u2019esterno del servizio possono favorire o aggravare la crisi dell\u2019operatore con conseguenti rischi di demotivazione, distacco dal lavoro, senso di inutilit\ue0 e impotenza, frustrazione e rabbia. La gamma dei sentimenti negativi provati da un operatore in burn-out possono essere diversi, mentre la pericolosit\ue0 di questo stato di malessere, per il singolo e per l\u2019intera \ue8quipe, pu\uf2 essere particolarmente invalidante, tanto da chiedersi se un allontanamento temporaneo dell\u2019operatore non possa giovare sia al singolo, sia all\u2019\ue8quipe stessa. In un secondo tempo pu\uf2 essere utile lavorare, con l\u2019aiuto di un supervisore esterno qualificato, sulle possibili cause del malessere che ha \u201cbruciato\u201d tutte le energie personali e professionali di quell\u2019operatore. Certamente verrebbe da dire che la presenza periodica di supervisori esterni all\u2019\ue8quipe dovrebbe diventare un\u2019abitudine istituzionale in ogni ambito sanitario, anche se questo comporta un impegno economico per le aziende. Non sempre infatti queste ultime si rendono conto dell\u2019importanza e dell\u2019utilit\ue0 di queste particolari forme di intervento, forse per l\u2019eccessiva mentalit\ue0 economico-aziendalista dei dirigenti, i quali devono inevitabilmente chiudere almeno in pareggio il bilancio aziendale, a fine anno.CONCLUSIONI Molti sono gli \u201cingredienti\u201d necessari per costituire e far funzionare un\u2019\ue8quipe, anche se talvolta non di facile realizzazione per la mancanza di risorse umane, economiche e logistiche. In ogni caso non ci si pu\uf2 arrendere a questa evidenza, perch\ue9 il percorso intrapreso dalla psichiatria moderna \ue8 quello della riabilitazione psicosociale e residenziale. Questa forma di riabilitazione mette in discussione ognuno di noi invitandoci a tentare un percorso di inclusione e di accettazione del paziente psichiatrico. Lo strumento dell\u2019\ue8quipe quindi diventa necessario, nell\u2019operare quotidiano in psichiatria, perch\ue9 la responsabilit\ue0 terapeutica non gravi solo su un singolo operatore, ma venga distribuita tra i vari componenti del gruppo di lavoro per evitare tutto quello che di negativo abbiamo gi\ue0 brevemente in precedenza descritto. L\u2019\ue8quipe multidisciplinare costituisce una risposta complessa ad una realt\ue0 complessa come il disturbo mentale, correlato a variabili genetiche, biologiche, psicologiche, relazionali e sociali. Tutti gli operatori non possono pi\uf9 trincerarsi dietro confini professionali rigidi ma sono chiamati piuttosto a forme concrete di collaborazione che richiedono doti di flessibilit\ue0 e di generativit\ue0. E\u2019 meglio avere una \ue8quipe in crisi e conflittuale, che stenta ad armonizzarsi ed ottiene risultati deludenti, piuttosto che rinunciare a questo strumento operativo per sostituirlo con l\u2019illusione dell\u2019autosufficienza individuale e professionale. Perch\ue9 questa scelta potrebbe essere infruttuosa e soprattutto non terapeutica