Le discriminazioni alla rovescia nella recente giurisprudenza comunitaria: rimedi insufficienti o esorbitanti?

Con l\u2019espressione di \u201cdiscriminazione alla rovescia\u201d si \ue8 soliti indicare lo svantaggio che colpisce i soggetti che si trovano in una \u201csituazione puramente interna\u201d e che risulta provocato dalla mancata applicazione a tali soggetti delle norme comunitarie che garantiscono le libert\ue0 di circolazione; in un\u2019altra prospettiva, tale svantaggio \ue8 determinato dall\u2019inopponibilit\ue0 agli operatori comunitari delle disposizioni nazionali che tali libert\ue0 illegittimamente restringono. Il contributo approfondisce le diverse soluzioni che la Corte di giustizia ha dato al problema delle discriminazioni alla rovescia. Anzitutto, esso ricorda l\u2019approccio tradizionale della Corte di giustizia a questo tipo di situazioni, approccio che negava una qualsiasi rilevanza comunitaria di queste, rimettendone la rimozione ai singoli ordinamenti nazionali. Il contributo ricorda che tale orientamento \ue8 stato giustamente criticato dalla dottrina, che lo ha definito una soluzione \u201cpilatesca\u201d. In effetti, esso trascura la circostanza che le discriminazioni alla rovescia sono prodotte dall\u2019impatto del diritto dell\u2019Unione sugli ordinamenti interni i quali, non sempre, dispongono di strumenti efficaci per la censura di dette discriminazioni. Il contributo si concentra poi sulla giurisprudenza pi\uf9 recente che attribuisce una rilevanza indiretta alla situazione dei soggetti inversamente discriminati, consentendo un\u2019utile collaborazione tra la Corte di giustizia e giudice nazionale per la censura di queste fattispecie