Design anonimo in Italia

La maggioranza degli oggetti che quotidianamente utilizziamo sono anonimi dal punto di vista del design. Nel senso che non ne conosciamo il progettista o non li riferiamo immediatamente ad un\u2019azienda. Non \ue8 noto il designer, ma sono il risultato evidente di un progetto. In un momento cui viene data grande rilevanza alla \u201cfirma\u201d del designer o del brand, pi\uf9 in generale in una fase di trasformazione delle merci estetiche contemporanee, meritano di essere sostenute e proposte ad exempla le \u201cnormali\u201d virt\uf9 del design anonimo. Non certo per negare il ruolo esplicito del designer, quanto per evidenziarne ancor pi\uf9 i risultati significativi. La maggioranza dei prodotti anonimi (e parliamo naturalmente solo di quelli rilevanti per qualit\ue0 e progetto) sono scelti sono per le loro esplicite qualit\ue0: sono frutto di una necessit\ue0, di un \u201cdover essere\u201d, cui non manca una propria qualit\ue0 formale, che ne ha fatto dei riferimenti imprescindibili nella storia degli artefatti. Inoltre, a ben guardare appunto, continuano ad essere la maggioranza degli oggetti che quotidianamente utilizziamo, dai prodotti \u201cusa e getta\u201d alla moka, dai mobile phone ai computer ai Post-it. Il design anonimo \ue8 un tema poco trattato nella letteratura storica e critica, soprattutto in Italia. Il volume colloca la problematica del design anonimo nel contesto della riflessione teorica e della prassi di alcuni dei maestri del progetto(da Le Corbusier a Bruno Munari ai Castiglioni), ma anche in relazione alla situazione contemporanea. Nell\u2019 Inventario del design anonimo italiano identifica oltre settanta oggetti, dall\u2019et\ue0 preindustriale ai nostri giorni (come la moka Bilaetti, l\u2019Ape Piaggio, le sedie di Chiavari, il borsalino, la tuta, il tram di Milano, la tripolina, la pentola a pressione, il gelato Coppa del nonno e il Campari Soda), che configurano la prima sistematica ricognizione di questi prodotti nel nostro paese