La capacit\ue0 patrimoniale della donna come problema

Il libro \ue8 stato pensato e scritto lasciandosi condurre dalla convinzione che, nella ricostruzione storico-giuridica, non siano solo le regole e i loro immediati contesti a costituire l\u2019oggetto di una ricerca specialistica. Lo storico del diritto \ue8, in fondo, un archeologo dei modelli istituzionali e questi si collocano, il pi\uf9 spesso criptati, dietro e sotto le regole o \u2013 \ue8 lo stesso \u2013 le nostre fonti giuridiche che costituiscono nella maggioranza dei casi gli unici dati di indagine. Ma una qualsiasi regola ha le sue ragioni socio-politiche, vicine o lontane, e il pieno intendimento di esse, come di un intero sistema, non pu\uf2 prescindere almeno dal tentarne l\u2019individuazione. Anche la romanistica ha le sue convenzioni che limitano il campo della ricerca, come la convenzione cronologica o quella ad excludendum, almeno di massima, dei dati che non emergano, nemmeno immediatamente, dal testo giuridico. Nel libro si \ue8 provato di saggiare questo allargamento di prospettiva assumendo come banco di prova quella che appare una contraddizione normativa sol che si abbandoni l\u2019ambito dello ius romanum e dei suoi meccanismi di esclusione che mirano piuttosto alla paralizzazione delle possibilit\ue0, pur esistenti in iure, attraverso l\u2019azione coordinata di varie istituzioni normative; mentre sarebbe pi\uf9 economico conseguire il medesimo effetto tramite la diretta espunzione di una potenzialit\ue0 giuridica ormai valutata inutile o inattuale o comunque difforme dalle relazioni di potere operanti nei fatti. Ci si \ue8 cos\uec domandato perch\ue9 lo ius romanum abbia insistito, dall\u2019inizio alla fine, nel riconoscimento della capacit\ue0 patrimoniale della donna, laddove \ue8 evidentissimo il desiderio sociale di prescinderne, con la conseguente predisposizione di una molteplicit\ue0 di rimedi giuridici volti a congelarla e quasi ad annientarla. In questa prospettiva si \ue8 ipotizzato che la capacit\ue0 giuridica della donna costituisca una sorta di \u201crottame\u201d di lungo corso, trasmesso ai romani fin dalla fondazione della citt\ue0 da antichissime culture preciviche e tollerata probabilmente per il noto conservatorismo istituzionale, a cui forse si aggiunge anche il modo complicato che il sistema romano classico aveva di essere, e di essere costruito, attraverso il modulo ricorrente della regola e della sua vanificazione mediante molteplici eccezioni, rese efficaci mediante complicati formalismi processuali. Questa capacit\ue0 di facciata della donna romana sar\ue0 trasmessa anche alle esperienze successive dell\u2019Europa continentale, e giunger\ue0 sino a noi anche se sar\ue0 corroborata da una progressiva immissione di realismo in connessione con l\u2019emancipazione femminile avvenuta soprattutto nel novecento. Quel modello, la donna capace \u2013 e non capace \u2013 si dimostra ancora radicato nella societ\ue0 e probabilmente esso esprime a livello giuridico una certa tipologia della relazione tra uomo e donna che assegna a quest\u2019ultima, per dirla con la nostra Costituzione (art.37) una \u201cessenziale funzione familiare\u201d, nel contesto della quale essa sembra contare, anche per la societ\ue0 generale, per la sua funzione riproduttiva entro e per la famiglia. E\u2019 un tratto che emerge con particolare durezza nel contesto della Roma antica; un tratto oggi attenuato, ma presente e determinante. L\u2019invenzione e la costruzione di assetti sociali e, quindi, giuridici radicalmente alternativi a livello del rapporto tra maschile e femminile implica necessariamente il ripensamento del modo della funzione riproduttiva della donna