Cantus binatim e canto fratto

Dallo spoglio di numerosi libri e manuali di coro dei secoli XVII-XIX sono emersi i tratti distintivi di un genere secolare e diffuso di musica liturgica, che si \ue8 avvalso del canto piano e di melodie neogregoriane a una e due voci, con ritmo libero o mensurale. L\u2019analisi delle testimonianze teoriche e una \u201crecensio\u201d non occasionale di questo genere di canti (\u201ccantus planus\u201d, \u201ccantus fractus\u201d, \u201ccantus binatim\u201d) in fonti tardive servono a verificare in quale misura sia rimasta traccia delle tecniche compositive originarie e la natura delle trasformazioni avvenute nel corso dei secoli. Pertanto, dopo un rassegna dello stato degli studi, vengono indagati i principi teorici e della prassi esecutiva esposti nei trattati di Andrea da Modena, Giuseppe Frezza dalle Grotte di Castro e Nicol\uf2 Toneatti. Le loro definizioni sono, quindi, poste a confronto con una serie di esempi musicali ricavati da libri liturgico-musicali di Padova, Venezia e Trento che dimostrano come questi particolari \u201cmodus cantandi\u201d tendano all\u2019autoconservazione praticando molteplici commistioni tra il formalismo modale e la moderna concezione della tonalit\ue0. Questo tipo di combinazioni comporta anche l\u2019esigenza di disciplinare i rapporti con le regole del contrappunto e dell\u2019armonia, secondo procedimenti variamente definiti nei trattati di Giovanni d\u2019Avella (\u201ccontraponto a campagna\u201d), Marzio Erculeo, Francesco Maria Vallara e Lorenzo Penna