Paesaggi abusivi in Sicilia

La questione dell\u2019abusivismo edilizio in Sicilia si pu\uf2 leggere come parte di un fenomeno pi\uf9 vasto, quello di una espansione poco programmata e costituita da una grande quantit\ue0 di edifici costruiti prevalentemente a uso residenziale, tra gli anni \u201860 e \u201980, da piccoli imprenditori o da privati, e che hanno dato vita a parti di citt\ue0 dimensionalmente rilevanti. Questi edifici o insediamenti urbani, che si presentano ancora frammentati e incompiuti, sono riconoscibili per materiali, per povert\ue0 di linguaggio, per tecnica costruttiva prevalente. Una gran parte di essi sono stati realizzati originariamente fuori dalle regole urbanistiche prescritte, ma nel tempo hanno prodotto tessuti e paesaggi dove adesso non \ue8 pi\uf9 cos\uec facile, e da certi punti di vista neanche utile, distinguerli ed enuclearli con precisione dal contesto, in quanto materia in continuo divenire, infatti: - Molti edifici, mai completati, sono sempre suscettibili di evoluzioni/completamenti. - Vi \ue8 un continuo passaggio di stato degli edifici, da abusivo a legale, a volte reiterato per successivi abusi e sanatorie. - Gli iter giuridico-amministrativi danno luogo a una gamma di situazioni intermedie tra il definitivo rientro nella sfera della legalit\ue0 e l\u2019esecuzione di demolizione. - La vita che via via si \ue8 consolidata in queste aree e qualche azione sporadica di riqualificazione fa continuamente cambiare le condizioni al contorno. Dopo un\u2019ondata di ricerca e riflessione scientifica sull\u2019abusivismo in Sicilia negli anni \u201980, che ha iniziato un censimento e un approfondimento sui temi ad esso legati: autocostruzione, carenza di abitazioni, necessit\ue0 di nuove infrastrutture e piani, oggi l\u2019interesse verso la questione sembra molto pi\uf9 scarso e frammentario. Il termine stesso, anche a livello amministrativo, sembra essere diventato tab\uf9, meglio parlare di infrazioni, di violazioni e non di abusivismo, parola che sembra connotare pi\uf9 una cultura complessiva che semplici episodi freddamente elencabili, sanzionabili e dunque risolvibili. Un\u2019apparente abitudine a non \u201cvedere\u201d ha avuto ormai la meglio: la questione ha strascichi giuridici complicati, risvolti politici scomodi, la sua consistenza fisica \ue8 di edifici spesso considerati brutti perch\ue9 nudi, monchi, amputati, in degrado. Una materia di base non molto invitante per la cultura architettonica pi\uf9 interessata alle opere alte e colte. Eppure se si decide di cominciare a \u201cvedere\u201d questa materia \ue8 necessario farlo con il distacco necessario a scoprirne perfino i pregi o le cose che inaspettatamente pu\uf2 insegnare. I momenti in cui l\u2019abusivismo esce da questa invisibilit\ue0 e conquista l\u2019attenzione mediatica sono legati alle campagne ambientaliste, mirate alle demolizioni dei cosiddetti ecomostri, attese in una specie di rivalsa voyeurista collettiva. Questa attenzione episodica oscura la dimensione pi\uf9 diffusa nel territorio dei paesaggi figli dell\u2019abusivismo, che, insoluti, ancora ci pongono delle domande. Lo stato di sospensione in cui si trovano molti immobili: demolibili, ma non demoliti, fa paradossalmente aumentare lo stato di degrado non solo degli edifici ma anche delle aree immediatamente circostanti. La stessa demolizione, giustificata su basi esclusivamente giuridiche, a volte si rivela addirittura controproducente, perch\ue9 attuata in tessuti per il resto consolidati. Inoltre spesso la demolizione si limita a una azione violenta attuata tramite ruspe, tesa ad annullare la parte visibile del manufatto, senza porsi il problema di ci\uf2 che accadr\ue0 dopo ai resti di macerie e fondazioni (v. lungomare di Carini (PA)): come ridare un nuovo senso a ci\uf2 che resta? La drammaticit\ue0 di alcune catastrofi naturali che hanno provocato in alcuni casi la perdita di vite umane provoca accelerazioni forzate nei processi di riqualificazione di impronta pubblica in territori ad alto rischio idrogeologico (pi\uf9 dell\u201980% dei volumi abusivi in Sicilia sono costruiti su terreni con vincoli sismico e idrogeologico). Legittimamente l\u2019enfasi di questi progetti di emergenza \ue8 posta sulle opere di salvaguardia tecnica, che mirano a evitare future nuove catastrofi, ma altri aspetti carenti di questi luoghi, che riguardano l\u2019uso, la vivibilit\ue0, i sistemi viari, le strategie di sviluppo, passano in secondo piano o vengono ignorati, perch\ue9 meno impellenti. Giampilieri e Ponte schiavo (ME) sono esempi in cui si \ue8 tentato di interpretare il compito della messa in sicurezza al di l\ue0 dei suoi aspetti puramente tecnici, integrandolo con aspetti paesaggistici e perfino di minuta riqualificazione urbana. Questo paesaggio incompiuto tende in qualche modo a completarsi. Spesso il completamento avviene per sopravvenute necessit\ue0 ad opera dei proprietari, singolarmente o in gruppo. Alle sproporzioni tra le parti, agli errori tipologici o di posizionamento, si sopperisce con un repertorio decorativo fatto di particolari e finiture storicizzanti (cantonali, cornici, stucchi, ecc.), inconsapevolmente eredi della cultura iperconservativa nata per i centri storici e della stagione architettonica Postmoderna. Un\u2019altra abitudine che si diffonde \ue8 quella di dipingere gli edifici con colori sgargianti, comunicando cos\uec a voce alta il presunto passaggio verso il mondo della legalit\ue0 e della compiutezza. Legalizzare o completare un singolo edificio/oggetto comporta per\uf2 un piccolo miglioramento puntuale, mentre ha poco effetto sull\u2019insieme del paesaggio che la massa fatta di singoli edifici ha prodotto nel tempo. E\u2019 sul piano complessivo che strategie perfino immateriali di recupero provano a cambiare indirettamente l\u2019identit\ue0 di queste aree nate illegalmente. Un tentativo del genere si registra a Triscina (TP), dove la realizzazione sui margini dell\u2019insediamento di villeggiatura abusivo di un nuovo ingresso al parco archeologico di Selinunte potrebbe innescare meccanismi virtuosi e dinamici di recupero concreto, avendo un impatto sicuro in termini di visibilit\ue0, di risvolti sugli usi e sul valore delle aree. L\u2019arte nel frattempo si nutre e si occupa in vario modo di questi scenari, lavorando con l\u2019immaginario che producono o con la loro consistenza fisica, con azioni paradossali e provocatorie come la fondazione del \u201cPizzo Sella Art village\u201d (PA), in cui protagonisti della Street Art hanno operato su una localit\ue0 considerata simbolo dell\u2019abuso, dalla storia travagliata e mai risolta. Ripensare all\u2019abusivismo oggi richiede la consapevolezza che si tratta di aree con una condizione complessa con la quale convivere, accettando un lavoro lento di mediazione non applicabile in forme generalizzabili, ma adatte alle singole situazioni, attraverso una continua indagine sulle potenzialit\ue0, le vocazioni, le nuove necessit\ue0 e la vita che vi si \ue8 consolidata