Ippolito figlio degenere (Sen. Phaedr. 907-908)

Le tragedie di Seneca costituiscono un compiuto laboratorio in cui la grande lezione del teatro antico si apre a nuove realt\ue0 di pensiero anche grazie al proficuo contatto con l\u2019esperienza delle scuole di declamazione. Cos\uec si dimostra in materia di abdicatio, tema fondante dell\u2019universo declamatorio ma anche spia evidente di ricorrenti crisi tra generazioni. L\u2019analisi dei vv. 907-908 della Phaedra di Seneca , nel contesto in cui Teseo maledir\ue0 il figlio credendo al complotto di Fedra e della nutrice circa la violenza perpetrata da Ippolito ai danni della matrigna, offre un saggio del contatto con la retorica praticata dalle scuole. Ed infatti nel comportamento scellerato del figlio Teseo conferma i segni di una colpevolezza latente nell\u2019animo del ragazzo, nella sua eccessiva vicinanza ad universo femminile barbaro e selvaggio. Se ci\uf2 avviene in deroga ad ogni principio della biologia antica, dove \ue8 preminente sempre e comunque la presenza del padre, questa sar\ue0 dunque una validissima ragione che spinger\ue0 Teseo ad \u2018abdicare\u2019 Ippolito secondo l\u2019assunto, che il lavoro dimostra ben noto ai declamatori, che ogni azione di un giovane pu\uf2 esser letta come una prova di conferma o disconferma della propria identit\ue0 di figlio. Solo dopo la scoperta di avere comminato una immeritata sanzione, Teseo non potr\ue0 che riacquisire quel che resta di Ippolito all\u2019interno del proprio genus, in quella che appare una velleitaria e frustrante agnitio post mortem