Realismo socialista e arti figurative. Propaganda e costruzione del mito

.II realismo socialista fu probabilmente il più grande esperimento mediatico mai compiuto: all’arte fu affidato il ruolo di trasformare la materia prima dell’ideologia in immagini e in miti destinati alla fruizione di massa. Fin dalla sua comparsa il regime totalitario iniziò a costruire una nuova cultura che rispecchiasse la propria immagine. Il saggio intende prendere in considerazione le dinamiche che resero possibile questo esito. L’arte ufficiale dei regimi totalitari è stata considerata per molto tempo quasi come un “corpo estraneo” nel conte- sto delle vicende artistiche del XX secolo e, come tale, non degno di essere oggetto di studio. Di conseguenza la cultura ufficiale di tali regimi è emersa paradossalmente dall’oblio solo da pochi anni. Dopo aver analizzato alcune delle più importanti posizioni critiche, da quella di Igor Golomstock a quelle più recenti di Boris Groys e Ekaterina Degot’, il testo considera creazione la storia del realismo socialista – almeno nell’ambito delle arti visive – non come uno stile unico, monolitico e immobile, ma come uno stile in cui si riscontrano oscillazioni stilistiche di tale portata da scoraggiare la semplicistica equazione “realismo socialista = realismo degli ambulanti ottocenteschi rimaneggiato e adattato alla situazione politica. Il testo analizza poi, con uso di significativo materiale iconografico le principali funzioni dell’arte durante il periodo totalitario: la propaganda e la creazione del mito fino a tratteggiare la più esoterica delle funzioni che venivano attribuite all’arte: la creazione dell’uomo sovietico