Li homini se pretendono essere patroni. Gli ospedali della Lombardia alpina nelle tensioni giurisdizionali e sociali del basso medioevo

To summarise the situation of the late medieval hospitals in the alpine area of Lombardy, it may seem obvious to use the label of crisis to emphasise the extinction of the communities of fratres and sorores who originally had dedicated their lives to the needy, the fading of the religious identity of the ministers who governed them, the appropriation of the hospitals‘ patrimonies into benefices for the clergy, the need for rural dwellers to have recourse to the reformed urban hospital of Como, the preference for ritual alms rather than donations to hospitals by large and small benefactors. However, when the picture is more subtly articulated there are a few examples of continued vitality. While it is true that hospices in mountain passes had often lost their function and various rural institutions were assimilated into simple chapels providing only sacramental services, in some borghi (small towns) the hospitals continued to perform a wide range of social functions. The vitality or decline of a hospital was profoundly influenced by its geographical location, and the dynamics of jurisdictional conflicts between the ecclesiastical hierarchy, local powers (lords and communities) and central authorities. More effective than their competitors were the borghi communes, particularly in the Ticino area, and the valley community in Valcamonica, led by their elites, even if these elites were not allowed to take a dominant role. The local institutions ensured the functioning of the hospitals, which may have been small but were very active in housing foreigners, the poor and the sick or supporting abandoned children.Può essere scontato, per sintetizzare la situazione tardo‐medievale degli ospedali nella fascia montana della Lombardia, fare ricorso all’etichetta della crisi, e sottolineare lo spopolamento delle comunità di fratres e sorores che vi avevano dedicato la loro vita, lo sbiadirsi dell’identità religiosa dei ministri che li reggevano, la riduzione dei patrimoni a benefici accaparrati da chierici di carriera, la necessità nel contado di ricorrere all’ospedale riformato cittadino, la preferenza di grandi e piccoli benefattori per l’elemosina rituale rispetto alle donazioni a favore di questi enti. In realtà il quadro deve essere più sottilmente articolato e non manca di rivelare casi di persistente vitalità. Gli ospizi di valico, in effetti, spesso avevano perso il loro ruolo, vari istituti di piccoli centri vennero assimilati a semplici cappelle che erogavano servizi sacramentali, ma alcuni ospedali di borgo esercitarono un’ampia gamma di funzioni sociali. Oltre all’ubicazione, sulla vitalità o meno dell’ospedale incise profondamente la dinamica dei conflitti giurisdizionali, fra la gerarchia ecclesiastica, i poteri locali – i signori e le comunità – e le autorità centrali. Più efficaci dei loro competitori furono i comuni di borgo, in particolare dell’area ticinese, e la comunità di valle in Valcamonica, guidati dalle loro élites cui però non si consentì di assumere una posizione prevaricante. Le istituzioni territoriali, infatti, assicurarono l’attività degli ospedali, magari piccole realtà ma operanti effettivamente sui fronti dell’alloggiamento dei forestieri, dei poveri e degli infermi o nel sostentamento degli esposti