Asconius on Cicero’s Son-in-law Lentulus, his Apprenticeship under Pupius Piso, and the De Othone

This paper covers three separate topics. All three concern Cicero and his first-century AD commentator Q. Asconius Pedianus. The chief contribution of parts one and two is to identify sources consulted by Asconius that have previously not been revealed or suspected. Part one will show that the multiple errors committed by Asconius in recounting the circumstances of the death of Cicero’s daughter Tullia in 45 BC are to be attributed to a source that misunderstood a letter of Cicero. Prior to publication, the letters to Atticus appear to have been accessible in a private archive, and on at least one, and probably two occasions, Asconius reveals that the historian Fenestella was misled by identifiable letters of Cicero to Atticus. Therefore, it is plausible that Fenestella was the conduit by which the content of yet another letter left its imprint on Asconius. In part two, it will be demonstrated that Asconius is likely to have relied upon, and been misled by, the invective against Cicero that has come down to us under the name of Sallust. This borrowing provides an earlier terminus post quem non for the circulation of that pseud-epigraphic work. At the same time, it demonstrates that Asconius, like Quintilian after him, almost certainly accepted the invective as a genuine work by Sallust. Lastly, part three challenges the communis opinio that a hostile reaction of a theatre crowd to the praetor L. Roscius Otho in 63 was caused by their resentment of his law of 67 which conferred on knights the privilege of occupying the first fourteen rows of seats. According to the prevailing view, Cicero’s no longer extant oration De Othone persuaded the throng to set aside their anger over being barred from the front rows. This paper argues that the angry outburst was triggered instead by the role Otho played as urban praetor in overseeing cases involving the repayment of debts, which in 63 had become a politically charged issue.Ce document couvre trois sujets distincts. Tous trois concernent Cicéron et son commentateur du premier siècle de notre ère, Q. Asconius Pedianus. La principale contribution est d’identifier les sources consultées par Asconius qui n’ont pas été révélées ou soupçonnées auparavant. La première partie montrera que les multiples erreurs commises par Asconius dans le récit des circonstances de la mort de la fille de Cicéron, Tullia, en 45 avant J.-C., doivent être attribuées à une source qui a mal compris une lettre de Cicéron. Dans la deuxième partie, il sera démontré qu’Asconius est susceptible de s’être appuyé sur, et d’avoir été induit en erreur par l’invective contre Cicéron qui nous est parvenue sous le nom de Salluste. Enfin, la troisième partie remet en cause la communis opinio selon laquelle la réaction hostile de la foule d’un théâtre au préteur L. Roscius Otho en 63 était due à son ressentiment à l’égard de sa loi de 67 qui conférait aux chevaliers le privilège d’occuper les quatorze premières rangées de sièges.Il presente articolo tratta tre argomenti distinti. Tutti e tre si riferiscono a Cicerone e a Q. Asconio Pediano, commentatore dell’Arpinate nel I d.C. Il contributo principale della prima e della seconda sezione consiste nell’identificazione di fonti di Asconio non rivelate o ipotizzate in precedenza. La prima parte rivela che i molteplici errori commessi da Asconio nel riportare le circostanze della morte di Tullia, figlia di Cicerone, nel 45 a.C. devono essere attribuiti a una fonte che ha frainteso un’epistula dell’Arpinate. Prima della pubblicazione, sembra che le lettere rivolte ad Attico fossero accessibili in un archivio privato e, in almeno una o probabilmente due occasioni, Asconio rivela che lo storico Fenestella venne tratto in inganno da lettere, che si possono identificare, di Cicerone ad Attico. Perciò, è plausibile che Fenestella fosse il canale tramite il quale il contenuto di un’altra missiva lasciò il suo segno in Asconio. Nella seconda sezione, si dimostra che Asconio fece verosimilmente affidamento sull’invettiva contro Cicerone che è giunta fino a noi sotto il nome di Sallustio – finendone fuorviato. Tale debito fornisce un precedente terminus post quem non per la circolazione di quell’opera pseudepigrafica. Nel medesimo tempo, dimostra che Asconio, come Quintiliano dopo di lui, quasi certamente accolse l’invettiva come un’opera autentica di Sallustio. Da ultimo, la terza parte contesta la communis opinio in base alla quale nel 63 la folla di un teatro, risentita per una legge del 67 che aveva conferito ai cavalieri il privilegio di occupare le prime quattordici file di posti, reagì in maniera ostile nei confronti dell’autore del provvedimento, il pretore L. Roscio Otone. Secondo il punto di vista prevalente, l’orazione ciceroniana De Othone, non più esistente, persuase la folla a mettere da parte la rabbia per essere stata esclusa dalle prime file. Questo articolo sostiene che l’esplosione di rabbia fu provocata, invece, dal ruolo che Otone ebbe in qualità di pretore urbano nel supervisionare i casi che implicavano il rimborso dei debiti che, nel 63, era divenuto un problema politicamente sentito