Introduzione

For some time, some Italian authors active in the disciplinary field of philosophy have been experiencing a remarkable fortune abroad, especially in the Anglo-Saxon area. Thus it was even possible to speak of an Italian Theory, to be placed alongside the French Theory as a resource to be mobilized in view of the construction of a critical discourse on the present. On the other hand, both at home and abroad, a tradition of thought linked to liberalism which, perhaps even more markedly than the Italian Theory, has always placed at the center of its discourse, has completely fallen into oblivion the need to reflect on the meaning of associated life, on the foundations of good governance, on the legitimacy of power, on the link between freedom and justice, on what serves as a prerequisite for the realization of a fully understood democratic life. In general, one could say that from its origins the philosophical discourse in Italy has tied its fates to a reflection on the politician - we could, if we wanted, start this story with Dante's De monarchy. This has almost always happened starting from the need to investigate concrete problems, closely intertwined with the civil and political life of the peninsula or of the individual states that dotted its territory. However, in this issue we wanted to emphasize a peculiar line of thought that, starting from the nineteenth century, reaches the first half of the twentieth century and then somehow covered up, leaving the field for debates of a completely different kind, who seem to be unable (or unwilling) to communicate with it. In short, it is a tradition that seems to have left no heirs.Da qualche tempo alcuni autori italiani attivi nel campo disciplinare della filosofia stanno conoscendo una notevole fortuna all’estero, in special modo nell’area anglosassone. Si è così potuto parlare, addirittura, di una Italian Theory, da affiancare alla French Theory quale risorsa da mobilitare in vista della costruzione di un discorso critico sul presente. Per contro, risulta del tutto caduta nell’oblio, sia in patria che all’estero, una tradizione di pensiero legata al liberalismo la quale, in maniera forse ancor più marcata rispetto all’Italian Theory, ha sempre posto al centro del proprio discorso la necessità di riflettere sul senso della vita associata, sui fondamenti del buon governo, sulla legittimità del potere, sul nesso che lega libertà e giustizia, su ciò che funge da presupposto alla realizzazione di una vita democratica pienamente intesa. In generale, si potrebbe dire che sin dalle proprie origini il discorso filosofico in Italia ha legato le proprie sorti a una riflessione sul politico - potremmo, volendo, far cominciare questa storia con il De monarchia dantesco. Quasi sempre ciò è avvenuto a partire dalla necessità di indagare problemi concreti, strettamente intrecciati alla vita civile e politica della penisola o dei singoli stati che ne costellavano il territorio. Tuttavia, in questo numero si è voluto porre l’accento su una peculiare linea di pensiero che, partendo dall’Ottocento, giunge sino alla prima metà del Novecento per poi in qualche modo insabbiarsi, lasciando il campo a dibattiti di tutt’altro genere, che sembrano non poter (o non voler) nemmeno comunicare con essa. Insomma, si tratta di una tradizione che pare non abbia lasciato eredi