L'epopea degli ospedali chirurgici mobili nella Grande Guerra

I servizi medici nella prima guerra mondiale hanno dovuto affrontare nuovi enormi problemi: masse di feriti, la maggior parte con ferite devastanti da schegge di artiglieria, che spesso coinvolgevano cavità del corpo e sempre contaminate. Il tetano, la cancrena gassosa, le infezioni delle ferite erano comuni e spesso fatali. Le ferite addominali erano particolarmente un problema. Entrando in guerra i Comandanti di tutti i servizi medici ordinarono di evitare interventi chirurgici in caso di ferite addominali, sulla base di tristi esperienze di guerre precedenti. Comunità chirurgica divisa in sostenitori del trattamento non operatorio vs operatorio. Il problema sembrava principalmente organizzativo, in quanto i feriti venivano soccorsi dopo molte ore e curati da medici non specialisti, in un contesto di prima linea inadeguato o evacuati con ulteriore ritardo delle cure. Durante la neutralità iniziale, gli accademici italiani hanno seguito da vicino il dibattito, con posizioni diverse. Molti corsi e pubblicazioni di chirurgia di guerra fiorirono. Tra gli interventisti, Baldo Rossi, al fine di fornire un setting adeguato alle grandi operazioni a ridosso del fronte, con chirurghi preparati e strumentazione adeguata, ha progettato e realizzato per la Croce Rossa di Milano tre ospedali chirurgici mobili completamente attrezzati montati su camion, con un cabina-tenda operativa, con dispositivi di riscaldamento, illuminazione e sterilizzazione, tende postoperatorie e unità radiologica. I capi dell'esercito approvarono il progetto e implementarono sette unità simili chiamate ambulanze chirurgiche dell'esercito, ciascuna gestita da un illustre chirurgo. Vengono descritti la storia delle unità chirurgiche mobili, il ruolo dei chirurghi accademici e della Società Italiana di Chirurgia e i brillanti risultati delle unità mobili. Nel dopoguerra furono inserite tra le novità più significative dei servizi medici militari