Tra esposizioni, deposito e archivio: l’artista come curatore delle collezioni museali? Il caso di Stefano Arienti e Massimo Bartolini al Museion di Bolzano

Considering the reinterpretations of the contemporary museum practices, the artist as a curator is currently a figure at the center of the critical debate that has arisen around the history of the exhibitions, in particular considering its potential to bring the precarious nature of exhibitions to its limits (ed. Filipovic, 2017 ) and its possibilities to move with extreme freedom between roles and types. This article aims at investigating one of its specific declination, focused on the collections and archives of the museum, starting from a case study, the project -2 +3 (2010) that Stefano Arienti and Massimo Bartolini realised at the Museion, Bolzano. For the whole duration of the project a selection of the collection has been brought by the artists, without changing the order and arrangement and keeping all the daily activities, from the warehouses inside the exhibition spaces. Intervening on what usually remains hidden from the public eye, Arienti and Bartolini through movements, installations, displays and new artworks created for the occasion had in fact staged a new relationship with the pieces of the collection, while questioning the functions and mechanisms that are part of the museum, without modifying them. Particularly significant in his desire to move the boundaries until the exhibition set up and artistic installation coincide, through a single, coherent conceptual operation, this project will be investigated starting from historicized models - from Andy Warhol Raid the Icebox I (1969) to Fred Wilson Mining the museum (1992-93) - considering the contemporary Italian context and the models that stress out the concept of exhibition itself, as well as the ones of collection and archive.Considerando le riletture delle pratiche museali contemporanee, l’artista come curatore è oggi una figura al centro del dibattito per quanto riguarda la storia delle mostre, in particolare considerando le sue potenzialità nel portare al limite la natura precaria delle esposizioni (ed. Filipovic, 2017) e la possibilità di muoversi con estrema libertà tra ruoli e tipologie. Questo articolo si propone di indagarne una declinazione specifica, focalizzata sulle collezioni e gli archivi del museo, ripartendo da un caso studio, il progetto -2 +3 (2010) che Stefano Arienti e Massimo Bartolini hanno realizzato al Museion di Bolzano. Per tutta la durata dell’operazione una selezione della collezione era stata portata dagli artisti, senza modificarne ordine e disposizione e mantenendo tutta la quotidiana attività, dai magazzini all’interno degli spazi espositivi. Intervenendo così proprio su quanto abitualmente rimane nascosto al pubblico, Arienti e Bartolini attraverso spostamenti, installazioni, display espositivi e nuovi lavori realizzati per l’occasione hanno voluto infatti mettere in scena un nuovo rapporto con le opere, mettendo però in discussione le funzioni e i meccanismi interni al museo, senza tuttavia modificarli. Particolarmente significativo nella sua volontà di spostare i confini fino quasi a far coincidere allestimento e installazione artistica attraverso un’unica, coerente operazione concettuale, questo progetto sarà indagato a partire da modelli storicizzati – da Andy Warhol con Raid the Icebox I (1969) a Fred Wilson con Mining the museum (1992-93) – considerando il contesto contemporaneo italiano e i modelli di messa in crisi dell’idea di esposizione, così come di quella di collezione e di archivio