Nelle riflessioni degli anni 1823 e 1824, Giacomo Leopardi abbandona per sempre la giustificazione del male secondo quella critica della perfettibilità ‒ operata nella summa di cinquanta pagine dello Zibaldone ‒ che vedeva nel peccato di cognizione di Adamo l’origine della Caduta del genere umano e la conseguente fiducia nella «società stretta». Già nella prima operetta ci troviamo di fronte a una situazione molto diversa rispetto alla riscrittura filosofica della Genesi: l’infelicità, che ugualmente si specchia in un esilio archetipico, non viene più ricondotta a una volontaria corruzione dell’uomo, bensì a uno squilibrio fondamentale iscritto nella natura umana e nell’essere delle cose, che non trova più ragione né in un passato edenico n...