Il testamento biologico e l'eutanasia: comparazione di legislazioni europee ed extra-europee

E’ opportuno inizialmente chiarire che il testamento biologico e l’eutanasia sono due temi diversi, anche se si presentano talvolta connessi, che molto spesso costituiscono oggetto di confusione per scarsa conoscenza della materia. Si usa l’espressione “testamento biologico” (invalsa ormai nel linguaggio comune, ma non tecnicamente perfetta poiché sarebbe più corretto parlare di Dichiarazione Anticipata di Trattamento – DAT) per indicare tutti quei documenti grazie ai quali una persona consapevole lascia indicazioni circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposta, in caso si trovasse in stato di incompetenza decisionale, ovvero non fosse più in grado di esercitare il suo diritto (costituzionalmente protetto dagli articoli 13 e 32 della Costituzione) al consenso/dissenso informato ai trattamenti sanitari. Il tema dell’eutanasia è, sotto il profilo giuridico, di particolare complessità. Con la parola eutanasia si intende generalmente una “buona morte” ed essa deriva dall’unione dei termini greci che significano rispettivamente “bene” e “morte”. Nel pensiero moderno, mediante l’eutanasia, si pone deliberatamente termine alla vita di una persona, che si considera senza speranza di guarigione, allo scopo di evitargli una penosa e lunga agonia. Se, da un lato, le definizioni letterali appaiono sufficientemente chiare e comprensibili, dall’altro, la loro traduzione in termini giuridici riesce però assai ardua e risulta irta di ostacoli interpretativi. Il diritto non è sempre “una risorsa che risolve” ed è spesso “uno strumento debole”. Gli strumenti del giurista sono del tutto insufficienti per inquadrare correttamente le questioni che si pongono quando si affronta un argomento di notevole spessore etico, sociale, religioso e medico. Se si dovessero avvalorare queste considerazioni con degli esempi, le legislazioni che incidono sulle tematiche riguardanti l’inizio e la fine della vita umana potrebbero offrire molti riscontri. Il principio di autodeterminazione del soggetto è, di regola, il fondamento della legittimazione degli interventi che, pur nelle differenti impostazioni della legislazione e nella varietà delle soluzioni giurisprudenziali, possono essere ricondotti a forme di eutanasia attiva o passiva. Le problematiche sottese da questo principio sono varie. E’ necessario anzitutto stabilire quali siano i confini dell’autodeterminazione giuridica. Si potrebbe, in tal senso, distinguere una espressione assoluta della volontà, alla quale attribuire sempre efficacia giuridica, da un’espressione relativa, volta ad offrire indicazioni che, in talune circostanze, potrebbero non essere testualmente osservate da chi deve assumere la decisione finale di “staccare la spina”. E’ opportuno evidenziare come tutti gli ordinamenti esaminati riconoscano un diritto di accettare o di rifiutare i trattamenti sanitari proposti, anche di sostegno vitale. La Convenzione di Oviedo, la Carta dei diritti fondamentali e le decisioni di numerosi Corti di Stati stranieri estendono tale diritto non solo a quanto considerato in termini tecnici “trattamento sanitario”, ma a tutto il campo della medicina. I legislatori e i giudici, ove non ammettono il ricorso a forme dirette o indirette di eutanasia, riconoscono sempre la legittimità del rifiuto dell’accanimento terapeutico. La sua esatta definizione, tuttavia, pone molti problemi in quanto il medico, per agire nel rispetto della legge e in aderenza al proprio codice deontologico, deve ritenere che la morte sia imminente e inevitabile, che le cure prestate siano inutili e che tenere in vita il paziente (ad esempio con meccanismi artificiali) comporti per il malato delle conseguenze molto dolorose ed effetti del tutto sproporzionati rispetto al risultato che ci si può ragionevolmente attendere. Dall’esame comparato delle legislazioni e degli orientamenti giurisprudenziali sul tema del fine-vita, che si riscontrano negli ordinamenti considerati, emerge una notevole differenziazione delle posizioni presenti a livello statale ed anche all’interno dei singoli Stati. L’esigenza di rispettare le persone e la loro dignità viene, infatti, interpretata in maniera anche diametralmente opposta a livello medico, politico e sociale, distanziando quindi gli esiti di riflessioni che prendono il via, apparentemente, dagli stessi assunti di partenza. A fronte di un law in the book molto differenziato, fra sistemi a tendenza impositiva e sistemi a tendenza permissiva, si assiste, tuttavia, ad un fenomeno generalizzato che tende a rendere più flessibili ed incerti i confini che separano, da un punto di vista formale, i diversi ordinamenti. La giurisprudenza che si occupa del fine-vita a livello comparato, ovvero il law in action, si dimostra sempre più attento alle concrete caratteristiche dei singoli casi, superando in qualche modo la rigidità delle disposizioni codicistiche ed offrendo soluzioni più rispettose della volontà individuale