Il rapporto di causalit\ue0 in medicina legale

Titolo ed argomento molto impegnativo nella sua prima parte (il rapporto di causalit\ue0), direi \u201ctroppo\u201d impegnativo, in quanto certamente pi\uf9 consono ad un giurista. Tuttavia mitigato nella seconda parte (in medicina legale), dove se ne specifica il campo applicativo: quindi un campo a me pi\uf9 congeniale. Il mio proposito sar\ue0 pertanto quello di tratteggiare quale dovrebbe essere (secondo me) il compito del tecnico chiamato dal giudice a rispondere sul ricorrere o meno di un nesso di causa in ambito scientifico -e quindi anche medico-. Premessa: La causalit\ue0 si pone su due piani Il piano della causalit\ue0 generale (\ue8 quella che riguarda le popolazioni, la prevenzione, \ue8 quella utilizzata dal medico terapeuta nella diagnosi differenziale): si avvale della teoria della causalit\ue0 adeguata, della causa idonea del valutazione del rischio ex ante della probabilit\ue0 statistica ex ante Il secondo piano \ue8 quello della causalit\ue0 particolare (\ue8 quella che riguarda la singola persona, della valutazione ex post): si avvale della teoria della conditio sine qua non della equivalenza delle cause La mia esperienza Fin verso la met\ue0 degli anni 90, a me tecnico veniva chiesto dal giudice di stabilire se l\u2019azione/omissione dell\u2019agente fosse (o fosse stata) idonea a provocare la conseguenza delittuosa (lesione o morte); in questa prospettiva utilizzavo i criteri della idoneit\ue0 lesiva indicati dal Cazzaniga fin dal 1919 (criterio cronologico, topografico, modale) e qui terminava il mio compito, compito peraltro facile; passavo quindi tutto al giudice il quale prendeva queste mie indicazioni di idoneit\ue0 \u201cin generale\u201d e le applicava al caso specifico: era quindi il giudice che attualizzava e particolizzava quanto affermato dal tecnico; era lui che passava dalla causalit\ue0 generale alla causalit\ue0 particolare. Il compito del consulente era facile. Pi\uf9 misterioso \ue8 come potesse fare il giudice: di fronte ad una consulenza che affermava come l\u2019azione/omissione dell\u2019agente fosse solo idonea ad uccidere, come poteva egli concludere che l\u2019agente aveva ucciso? Questo errore concettuale, questa discrasia non poteva passare inosservata agli operatori del diritto: come potesse il giudice, utilizzando un giudizio tecnico espresso secondo la teoria della causalit\ue0 adeguata, poi arrivare a formulare un giudizio secondo la teoria della conditio sine qua non. Verso la met\ue0 degli anni 90 le cose sono cambiate. E le ragioni sono molte: - Certamente i difensori delle parti non potevano essere soddisfatti di correre un\u2019alea cos\uec grande e cos\uec dipendente dalle convinzioni di quel giudice in quel momento storico. - Ma anche il giudice non poteva non cogliere questo iato: di essere da un lato chiamato a condannare la persona che avesse effettivamente commesso il delitto e, dall\u2019altro, farlo col supporto di una consulenza tecnica che concludeva dicendo come la azione/omissione dell\u2019indagato era solo in astratto idonea a produrre quella conseguenza lesiva (perch\ue9 il peso di questa condanna (o di questa assoluzione) deve ricadere solo di me?) Credo tuttavia che in questo processo evolutivo il ruolo maggiore l\u2019abbia svolto la spinta scientifica e in particolare il ruolo che nel secolo scorso ha avuto la filosofia della scienza, che non poteva investire anche il diritto. Ora il compito del tecnico (di colui che applica la scienza) diventa pi\uf9 difficile. Si prende coscienza che \ue8 il tecnico a dover indagare non solo la causalit\ue0 generale, ma anche la causalit\ue0 particolare, quindi secondo una metodologia scientifica propria della causalit\ue0 individuale: i vecchi criteri della idoneit\ue0 lesiva nulla dicono nella causalit\ue0 particolare. Ora vanno utilizzati altri criteri, quelli indicati dai filosofi della scienza, tra i quali il pi\uf9 condiviso e meno inadeguato \ue8 quello del modello di sussunzione sotto leggi di Hempel: leggi di copertura in forma universale o determinativa oppure in forma probabilistica (queste ultime consentono spiegazioni meno forti delle determinative, perch\ue9 affermano una regolarit\ue0 di accadimento minore, ma comunque prossima all\u2019unit\ue0, prossima al 100%): la certezza e/o la quasi certezza. Di conseguenza sorge un problema conflittuale: il parere del tecnico prefigura e condiziona quello del giudice: se la legge di copertura \ue8 individuata dal tecnico, anche il giudice deve condividere il giudizio sul ricorrere del nesso causale; ma se il tecnico, per qualsiasi motivo, non trova e non enuncia una legge di copertura, l\u2019ipotesi accusatoria deve essere abbandonata. Da qui tutta una serie di domande tra esse collegate cui dover dare una risposta razionale e convincente: \u2022 quando il giudice tratta di materie scientifiche, devono prevalere le regole della scienza o quelle del diritto? \u2022 deve prevalere il convincimento del giudice o il parere del tecnico? (ovviamente dando per scontato che il parere del tecnico sia formulato con tutti i crismi della scientificit\ue0 e non con quelli della scienza-spazzatura) \u2022 il giudice ha il diritto di interferire nelle conclusioni scientifiche del proprio fiduciario tecnico? deve essere l\u2019interprete delle risultanze scientifiche ? (inter pretium = mediatore, sensale) \u2022 oppure il giudice ha il compito-dovere di essere il custode del criterio scientifico, vale a dire di verificare se il suo consulente tecnico abbia espresso conclusioni scientificamente corrette e motivate? Sentenza della Corte di Cassazione Civile USA (1993) nel caso Daubert v. Merrell Dow (sugli effetti teratogeni del farmaco Bendectin): il Giudice Blackmun sancisce il principio secondo cui le Corti, quali custodi del metodo scientifico, debbono seguire ed applicare tutte le teorie scientifiche, anche se tra esse contrastanti e in particolare seguire: \u2022 sia la teoria nomologico-deduttiva che trova in Hempel il principale fautore (o criterio nomologico-deduttivo o modello di Hempel-Oppenheim o modello delle leggi di copertura) \u2022 sia la teoria antiinduttivistica della \u201cincessante discussione critica\u201d (del succedersi di problemi teorie critiche) di Popper (lo scienziato deve tendere a falsificare l\u2019ipotesi scientifica; in caso contrario la pu\uf2 solo corroborare temporaneamente) \u2022 ad esse pu\uf2 affiancarsi anche il metodo del consenso generale della comunit\ue0 scientifica (della matrice disciplinare o del paradigma, del succedersi di teorie accettate dalla comunit\ue0 scientifica, crisi, rivoluzione, del ritorno ad una matrice comune) di Kuhn, che tuttavia non le pu\uf2 sostituire A questa serie di domande giuristi e giudici danno risposte diverse. Una posizione si rispecchia in una serie di sentenze di cui mi pare che quelle pi\uf9 significative, in ordine di data siano: 1) Nel 2000 si ha una prima affermazione a favore del primato della scienza (Sez. 4. 28.9.2000, Musto e 29.11.2000, Baltrocchi). Alla espressione \u201calto grado di probabilit\ue0\u201d deve essere dato il significato che le attribuisce \u201cla scienza e, prima ancora, la logica cui la scienza si ispira, e che non pu\uf2 non attribuirle il diritto\u201d: vale a dire di \u201cprobabilit\ue0 vicino alla certezza\u201d. Il che richiede che il giudice debba avvalersi di una legge o proposizione scientifica che \u201cenuncia una connessione tra eventi in una percentuale vicina a cento\u201d (sono le leggi di copertura del modello nomologico-deduttivo) 2) Il primo enunciato della sentenza Franzese (SS. UU. 10 luglio 2002, n. 27: \u201c il nesso causale pu\uf2 essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica- si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell\u2019evento \u201chic et nunc\u201d, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensit\ue0 lesiva\u201d 3) La sentenza n. 19777 del 25.11.2004 della sez. IV, quando afferma che: \u201c\u2026 il giudice per accertare se una persona deve essere privata del diritto inviolabile della libert\ue0, cos\uec come lo definisce la Carta Costituzionale, non pu\uf2 non essere, nel proprio settore, meno culturalmente rigoroso \u2026 del filosofo, dello scienziato o dello storico, \u2026 il rigore gli \ue8 imposto in ogni caso di accertamento della responsabilit\ue0 penale dal codice di rito, le cui norma sulla prova \u2026\u2026 e il cui principio dell\u2019oltre ogni ragionevole dubbio sono incontestabili espressioni di questo rigore\u2026\u201d e aggiunge: \u201c\u2026 sul rapporto di causalit\ue0 tra condotta ed evento [non vi deve essere] alcun spazio all\u2019incertezza, se non lo spazio al dubbio ontologicamente proprio della ricerca scientifica\u201d. Sono queste affermazioni che intendono il nesso causale solo sempre ed esclusivamente in versione (scientificamente) forte: ed \ue8 questa l\u2019unica modalit\ue0 di espressione del nesso causale che, per i suo assoluto rigore metodologico, secondo molti giuristi (tra cui il compianto prof. Federico Stella), deve caratterizzare le sentenze penali. E\u2019 ovvio che leggi di coperture scientifiche a carattere (sia universale sia probabilistico) sono difficili da trovare ed enunciare e questa difficolt\ue0 \ue8 vieppi\uf9 avvertita in ambito biologico e medico. A parte alcune (anche ovvie) leggi scientifiche pressoch\ue9 costantemente verificabili al ricorrere di una lesivit\ue0 meccaniche, pochissime sono le cose che in medicina consentono di raggiungere la certezza o la quasi certezza; neppure di fronte ad un accanito fumatore affetto da tumore polmonare si \ue8 in grado di stabilire con certezza (o quasi certezza) se l\u2019agente eziopatogenetico sia stato il fumo di sigaretta, perch\ue9 le statistiche indicano nelle neoplasie del polmone una prevalenza eziopatogenetica del fumo di sigaretta dell\u201985-90%, ma il restante 10-15% riconosce una eziologia oggi sconosciuta (per la esperienza da me maturata in questi anni, vi \ue8 certezza/quasi certezza che un emangiosarcoma epatico si manifesti solo ad esposizioni di cloruro di vinile monomero ad altissime concentrazioni; che asbestosi e neoplasia polmonare da asbesto compaiano solo in persone che abbiano avuto esposizioni all\u2019amianto estremamente elevate e prolungate; che il mesotelioma sia riconducibile solo alle primissime esposizioni alle polveri di asbesto, con irrilevanza del successivi periodi espositivi). Si pu\uf2 quindi rinunciare al rigore metodologico prima richiamato? Risponde a questa domanda l\u2019altra posizione giuridica, che si rispecchia in altre e differenti affermazioni della cassazione, tra cui: 1. la sentenza Orlando (Sez. 4, 23.1.2002) dove si dice che a) un dato percentualistico pure alto non assume valore eziologico quando risulti che l\u2019evento \ue8 stato in realt\ue0 cagionato da altra condizione b) una percentuale statistica medio-bassa potrebbe trovare invece significato dalla verificata insussistenza di altre possibili condizioni, di cui sia stata esclusa l\u2019interferenza 2. il secondo enunciato della stessa sentenza Franzese: \u201cnon \ue8 consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilit\ue0 espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell\u2019ipotesi accusatoria sull\u2019esistenza del nesso causale, poich\ue9 il giudice deve verificarne la validit\ue0 nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell\u2019evidenza disponibile, cos\uec che, all\u2019esito del ragionamento probatorio che abbia altres\uec escluso l\u2019interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico \ue8 stata condizione necessaria dell\u2019evento lesivo con \u201calto o elevato grado di credibilit\ue0 razionale\u201d o \u201cprobabilit\ue0 logica\u201d 3. tutta la seconda parte sempre della sentenza Franzese, dove si sottolinea a) che deve essere operata una distinzione fra l\u2019opera del tecnico e quella del magistrato: al tecnico compete esprimersi secondo il parametro della \u201cprobabilit\ue0 scientifica\u201d che attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa alla successione degli eventi, mentre al magistrato spetta formulare un giudizio di \u201cprobabilit\ue0 logica\u201d e \u201cdi elevato grado di credibilit\ue0 razionale\u201d che tenga conto delle considerazioni del tecnico, tuttavia integrate dagli elementi di giudizio solo a disposizione del giudice b) \u201cche non \ue8 consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilit\ue0 espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell\u2019ipotesi accusatoria sull\u2019esistenza del nesso causale, poich\ue9 il giudice deve verificarne la validit\ue0 nel caso concreto\u201d c) che \u201cnulla esclude\u201d che anche \u201ccoefficienti medio-bassi di probabilit\ue0 cosiddetta frequentista, se corroborati dal positivo riscontro probatorio \u2026 circa la sicura non incidenza di fattori interagenti in via alternativa \u2026 possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento\u2026\u201d d) che la spiegazione quantitativa \u201cattraverso cristallizzati coefficienti numerici\u201d \ue8 inadeguata a esprimere il nesso di causa e che ad essa deve essere preferita una enunciazione \u201cin termini qualitativi\u201d Mi \ue8 difficile capire perch\ue9 solo al ragionamento del giudice venga riconosciuta credibilit\ue0 razionale e/o probabilit\ue0 logica e dove sia l\u2019antinomia fra la probabilit\ue0 logica del giudice e la probabilit\ue0 numerica del tecnico. Perch\ue9 vi \ue8 timore del numero? Forse il giudice ha timore di perdere la propria indipendenza ? o non piuttosto il proprio arbitrio ?) Per questo un siffatto nesso causale inteso in versione (scientificamente) debole mi convince poco, anche se una delle pi\uf9 recenti sentenze di Cassazione (la 4177 del 2.2.2007, sez. IV) ribadisce che \u201cil giudizio positivo sulla sussistenza del nesso eziologico non si baser\ue0 pi\uf9 solo sul calcolo aritmetico statistico (quale che sia la percentuale rilevante), ma dovr\ue0 trovare il proprio supporto nell\u2019apprezzamento di tutti gli specifici fattori che hanno caratterizzato la vicenda concreta\u201d; in questa sentenza la Cassazione riconosce la legittimit\ue0 della sentenza dei giudici di appello che, \u201cdopo aver richiamato la dichiarazione resa dal consulente del PM in merito alla discreta possibilit\ue0 di salvare\u201d il paziente con un pi\uf9 tempestivo intervento\u201d, considerato il significato semantico del termine \u2026 concludono per la ricorrenza nella fattispecie \u201cdi una elevata o comunque notevole probabilit\ue0 di esito positivo conseguente\u201d ad una corretta attivazione del medico, nel caso possibile e doverosa. La sentenza di appello \ue8 ritenuta legittima perch\ue9 una possibilit\ue0 di sopravvivenza definita dal tecnico discreta, \ue8 stata interpretata dai giudici di appello come espressione di una elevata o comunque notevole probabilit\ue0 di esito positivo. Per contro, in altra sentenza dell\u2019anno prima (la n. 23881 del 6.6.06 della IV sez.) la Cassazione cassava la sentenza della corte di merito rilevando difformit\ue0 fra quanto detto dal consulente del PM., il quale aveva richiamato parametri e criteri valutativi a struttura probabilistica, ritenuti ben lontani dal concetto di quasi certezza poi espresso dalla corte di merito. La sentenza di appello non \ue8 ritenuta legittima perch\ue9 una valutazione probabilistica del tecnico \ue8 stata dalla interpretazione dei giudici di appello elevata a quasi certezza. A mio parere l\u2019equivoco di fondo sta nel fatto che il tecnico esprime delle aggettivazioni qualitative, astenendosi della quantificazione del dato, quasi avesse paura di dare il numero. A maggior ragione in questi casi di nesso causale in versione debole, a mio parere, il consulente tecnico non pu\uf2 limitarsi ad una aggettivazione qualitativa (di probabilit\ue0/possibilit\ue0 elevata, grande, notevole, bassa, limitata, ridotta), ma a lui spetta il compito di identificare se ricorrano leggi statistiche a carattere frequentista, in quanto esse, anche se non sono leggi di copertura, esprimono comunque delle frequenze e, qualora ricorrano, di esprimere queste frequenze numeriche. D\u2019altra parte due, a mio parere, sono i limiti che la stessa sentenza Franzese e le successive pronunzie di Cassazione pongono al Giudice che intenda utilizzare il nesso causale in versione debole. Il primo \ue8 proprio quello del numero: se la legge contenuta nell\u2019explanans ha solo carattere frequentista, ad essa, dice la sentenza, va concesso un grado di fiducia proporzionale alla frequenza insita nella legge stessa [\u201cIl sapere scientifico accessibile al giudice \ue8 costituito \u2026 sia da leggi universali \u2026 sia da leggi statistiche che si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento \ue8 accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa, con la conseguenza che queste ultime (ampiamente diffuse nei settori delle scienze naturali, quali la biologia la medicina e la chimica) sono tanto pi\uf9 dotate di \u201calto grado di credibilit\ue0 razionale\u201d o \u201cprobabilit\ue0 logica\u201d, quanto pi\uf9 trovano applicazione in un numero sufficientemente elevato di casi e ricevono conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali ed empiricamente controllabili\u201d]. Ci\uf2 significa che, nel proporre al Giudice la \u201cprobabilit\ue0 frequentista\u201d (o la \u201cprobabilit\ue0 numerica\u201d), il consulente tecnico deve avere presente che nella versione debole del nesso di causa individuale vale comunque il concetto del pi\uf9 probabile che no. Sono questi i coefficienti medio-bassi di probabilit\ue0 c.d. frequentista della pi\uf9 volte citata sentenza Franzese. Difatti, per ritenere un evento probabile il grado di probabilit\ue0 deve per lo meno essere superiore al 50%. Riconoscere una frequenza del 50% significa pur sempre essere nel campo dell\u2019incerto e del possibile, essendo uguali le probabilit\ue0 del verificarsi o non verificarsi dell\u2019evento, del ricorrere o non ricorrere del nesso causale. Di conseguenza, quando nel linguaggio giuridico si parla di probabilit\ue0, necessariamente ci si deve riferire a percentuali comunque e sempre superiori al 50%, in quanto il nesso causale diviene probabile solo se viene superato il limite del possibile, appunto espresso dalla percentuale del 50%. Il secondo limite sta nel fatto che un ragionamento probatorio espresso secondo leggi statistiche a carattere frequentista nella forma debole del pi\uf9 probabile che no, assume significato solo quando venga esclusa la interferenza di fattori alternativi: quindi compito aggiuntivo (ma imprescindibile) del consulente tecnico \ue8 quello di rispondere al Magistrato segnalando il ricorrere - o meno - di altra(e) causa(e) della stessa patologia. Concetto ripreso e ribadito costantemente dalla Cassazione, anche in una sentenza che credo abbia avuto qui ampia eco: la n. 25233 del 25.5.2005 sez. IV (Lucarelli), laddove la sentenza della corte di merito \ue8 cassata, oltre che per la mancata dimostrazione della causa materiale del contagio, perch\ue9 non ha adeguatamente motivato la esclusione di fattori alternativi interferenti e plausibili [nel caso specifico non avendo escluso \u201cche sangue infetto \u2026 possa essere stato custodito al di fuori dell\u2019ambiente ospedaliero per essere poi di volta in volta utilizzato per gli atti di sabotaggio\u2026\u201d]. Da qui la conclusione che \u201c \u2026 la insufficienza, la contraddittoriet\ue0 e l\u2019incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio \u2026 sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva \u2026 rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell\u2019evento lesivo, (comporta) la neutralizzazione dell\u2019ipotesi prospettata dall\u2019accusa e l\u2019esito assolutorio \u2026\u201d Analoga la situazione secondo la mia esperienza di - cirrosi epatica e di epatocarcinomi in lavoratori forse anche esposti al cloruro di vinile, ma con storia di etilismo cronico e/o epatiti virali - di tumori della vescica nei parrucchieri esposti a tinture per capelli, ma anche fumatori - di neoplasie delle vie respiratorie in lavoratori della plastica, delle costruzioni ferroviarie, della gomma, o per varie ragioni con storia di esposizioni all\u2019amianto, ma pur essi fumatori