Nelle società liberali, la condizione disabile ha rappresentato a lungo in modo incontestato «tutto quello che il soggetto non può essere per potersi dire tale» (Arfini 2014, p. 102). Invero, nonostante questo stato di cose sia in parte cambiato, non può negarsi come talvolta, ancora oggi, la disabilità costituisca quella peculiare alterità che – in quanto possiede una forza evocativa tale da ricordare che l’ineluttabilità della morte e della sofferenza è un’esperienza condivisa1 – è rimossa già sul piano simbolico, oltre che attraverso concrete tecniche di confinamento (quando non di eradicazione), volte appunto a creare o rafforzare (a seconda dei casi) la distanza tra il sé e l’alterità, tra chi è incluso e chi non lo è. Tra tali tecni...